Ma in realtà a pensarci bene è proprio vero: quando mai sui mass media si sente parlare del problema della auto – immolazione dei monaci tibetani per la questione dell'occupazione cinese? Il film in questione è stato proiettato tra le pellicole che hanno preso parte al Trento Film Festival 2017, si tratta di “Tibetan Warrior” un film di Dodo Hunziker che è stato girato in multilingua: inglese, francese, tibetano, cinese e tedesco. La sostanza dei fatti narrati nel film trae spunto completamente da una storia vera, la storia di un cantante Tibetano rifugiato in India che vive in Svizzera da parecchi anni e che ha deciso di intraprendere un viaggio da Berna a Ginevra trascinando una bara, per portarla a piedi davanti al palazzo delle Nazioni Unite, per simboleggiare la morte del Tibet Libero.
Loten Namling esiste davvero ed è diventato famoso, in patria, nel 2012, per questa missione simbolica, ma di lui non hanno parlato i giornali europei, non più di tanto, come non parlano dei monaci che entrano ed escono dalle prigioni cinesi perché sono contrari all'ideologia statalista cinese, di impero economico e sociale di stampo decisamente comunista, contro lo spirito religioso, buddhista e autonomo dei tibetani.
Durante la sua camminata il cantante ha continuato a prostrarsi a terra per dimostrare onore a chi si è dato fuoco. Arrivato a Ginevra ha tenuto un concerto di libertà. Poi ha incontrato i politici svizzeri e locali indiani, le tv, infine il Dalai Lama, che lo ha convinto che – la via migliore – è la “mezza via” per non litigare con i cinesi, per non finire come la Siria.
Parole gravi quelle dette, serie, perché effettivamente per il Tibet le alternative – non lo dice il film ma lo dice la geografia economica – non possono che essere la distruzione massiva (comune al resto della nazione) oppure un forte turismo (per certi versi altrettanto invasivo). Film, viaggi, cultura, natura, la competitività del Tibet si ferma, laddove servono armi o servono soldi. Il Tibet è povero. Il Tibet è disarmato.
Considerazioni, che si formano insieme alle considerazioni prettamente cinematografiche, del film, che mostra i Giovani Tibetani a Congresso, che discutono di libertà e di combattere, discutono di terrorismo e di nucleare. Ma questo non sarebbe più il Tibet, non sarebbe più la sua aquila, o almeno così dice Buddha e così sostiene anche – seppure nella sua modernità – il Dalai Lama. Che la violenza non fa arrivare all'obiettivo ma lo danneggia. E così sarebbe (MC).