Romanzo di una strage: la complessità di adattare la Storia al cinema
Romanzo di una strage: la complessità di adattare la Storia al cinema
Non è mai semplice adattare un romanzo al cinema, tanto più se questo romanzo è storia vera, quella che ci tocca da vicino, ci appartiene. Occorre tagliare, scegliere, talvolta riscrivere.
Marco Tullio Giordana non è nuovo a sfide di questo tipo. In passato il regista ha adattato per cinema e televisione diversi momenti storici del nostro paese, ora attraverso personaggi – Pasolini un delitto italiano (1995) e I cento passi (2000) – ora romanzando e mescolando i fatti storici, come accade nel film La meglio gioventù (2003) in cui nell’arco di tempo che va dal 1966 al 2003 viene raccontata la vicenda di una famiglia italiana.
Racconti, o per meglio dire romanzi ispirati alla Storia, dove realtà e finzione si incontrano generando un terzo livello, quello di Giordana.
Ancora una sfida con la Storia per il regista milanese che con Romanzo di una strage (2012) cerca di ricostruire una triste pagina del nostro recente passato ispirandosi peraltro al libro di Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana”.
Onore dunque al tentativo del regista di ricostruzione storica dei circa 40 anni di processi e inchieste, dall’esplosione della bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano il 16 dicembre 1969 alla sentenza di Cassazione il 3 maggio 2005.
Titolo perfettamente in linea con il contenuto del film, dove viene mantenuta la suddivisione in capitoli propria del romanzo, a motivare lo sforzo di ricostruzione fedele dei fatti storici. La struttura didascalica però appesantisce il film che già per trama non può definirsi leggero.
A ricordare inoltre i tratti “descrittivi” tipici del romanzo ci sono poi alcune scene; una su tutte quella dell’esplosione della bomba – fulcro nevralgico del racconto - che uccise 17 persone e ne ferì 88.
Giordana sceglie di far parlare le immagini – impostate per lo più sui dettagli – che non rendono giustizia alla strage appena avvenuta. Per oltre due minuti, la macchina da presa si concentra su dettagli e particolari – interno esterno della banca, un taxi, un orologio – accompagnati da una colonna sonora composta solo dai rumori diegetici della città – la strada, il tram – e dall’imbarazzante, oltre che improbabile, silenzio all’interno della banca. Il poetico silenzio si infrange alle 16.37 proprio come i vetri della banca stessa; e poi di nuovo alcuni istanti di silenzio: non un grido, non un pianto. Niente. Solo dopo si verifica il caos tipico, ben più reale e meno poetico, del dopo tragedia descritto da Giordana, che cerca di fare con la sola forza delle immagini quello che uno scrittore avrebbe fatto in almeno cinque pagine di romanzo.
In linea con il taglio dato dal film, Giordana lo conclude – laddove lo spettatore si aspetta i titoli di coda - continuando a raccontare i fatti affidandoli ad una sorta di morale sul panorama politico e giudiziario del nostro paese.
Si può allora contestare la regia, la recitazione degli attori, si può dire che Romanzo di una strage non è di certo uno dei migliori lavori di Marco Tullio Giordana, ma d’altra parte il film non nasce con la presunzione di essere bello, bensì con la volontà di raccontare una triste pagina della nostra Storia, seppure romanzandoci un po’ su.
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