Il mondo pubblicitario? Una scorta di buoni motivi e una scorta di buone bugie. Proprio di questi giorni è il caso di Oliviero Toscani, chiamato in causa per una controversia tra il partito Fratelli d'Italia e i Diritti d'autore del medesimo, per una satira su di una pubblicità condotta ad uso contrario allo scopo delle immagini che il fotografo ha scattato.
Una foto che ritrae una coppia di uomini e una coppia di donne, con un neonato, per promuovere i diritti delle persone omosessuali viene usata per farne una campagna opposta da parte del partito FDI ed è guerra mediatica sui diritti all'immagine.
Fermo restando che di diritti si parla e quindi di persone, il neonato sicuramente non ha scelto se comparire in una campagna pro o in una campagna contro l'adozione da parte delle famiglie omosex.
Ma è sempre vero che queste campagne sono così sane come si vorrebbe far credere? Partiamo dal passato: il colore della pelle ad esempio, è stato spesse volte usato nelle pubblicità, in un modo che attualmente definiremmo razzista, mentre per l'epoca era una novità assoluta che persone di colore di pelle diversa da quello bianco, fossero considerate adatte a una promozione.
Sono seguite quindi le campagne contro il razzismo, per primi i fratelli Benetton, che hanno fatto di questo leit motive una fortuna, pagando eventi, primo fra tutti lo Zecchino d'Oro, in cui la multietnia era elevata ai massimi livelli. Ma poi, è forse passato anche questo tempo.
Sono arrivati gli anni 2000, ed essere etno è diventato chic, così che ancora una volta il linguaggio pubblicitario si è adeguato.
Ma allora, che cosa si nasconde dietro a questa mania di essere all'ultima moda anche nella pubblicità? Pubblichiamo in merito una vecchissima foto di una campagna pubblicitaria, che mi richiama alla mente una memoria a mia volta antichissima, di un bambino italiano che incontra un bambino africano, e certamente senza alcun razzismo gli chiede: "Ma perché la mamma non ti ha lavato la faccia?"