Microcriminalità, una parola abusata
Microcriminalità, una parola abusata

Non di rado alla radio, in televisione o sui giornali veniamo messi in contatto con un termine, che si usa per definire diversi atti che violano la legge, che è quello di “microcriminalità”. Con questa parola si intende ultimamente un po' di tutto, dal piccolo reato a beni materiali, al danneggiamento, dallo scippo al furto, dal piccolo spaccio alla agressione.

 

Purtroppo la parola “microcriminalità” è stata abusata, creando un effetto boomerang dal doppio risvolto: da una parte colpendo chi dà più importanza alla seconda parte del termine, cioè criminalità e dall'altra assuefacendo chi invece dà più importanza alla prima parte del lemma, cioè micro.

 

In nessuno dei due casi l'uso della parola rispecchia la descrizione della situazione sociale entro cui i fatti di microciriminalità si inseriscono. La prima ingigantisce e intimorisce e la seconda sminuisce e minimizza.

 

Ebbene, sarebbe giunto il momento di togliere questo termine dalle cronache, preferendo ad esso una serie di altre parole che meglio possono descrivere il problema di una violazione alla legge, inserita in un determinato contesto sociale.

 

Se un fatto isolato, come può essere un piccolo furto fatto per bravata, non desta allarme sociale, dall'altra invece episodi correlati e ripetuti, che si inseriscono in determinati contesti, devono essere considerati a tutti gli effetti.

 

In questo caso non sono le statistiche che possono aiutarci, come neanche la valutazione della effettiva gravità del fatto, bensì la analisi del contesto. Da questo si possono desumere le situazioni di reale disagio sociale, che possono colpire un quartiere in cui la microcriminalità è conseguenza di fatti di violazione organizzati e ripetuti, denuncia di un contesto poco sereno e difficoltoso, e sempre da questo si possono invece escludere le ricadute sociali di un evento.

 

Non è da poco, considerando che la microcriminalità è stata spesso oggetto di analisi e di crociate per discutere della situazione di sicurezza delle nostre città e delle nostre periferie. Da una parte offrendo terreno fertile per campagne politiche repressive a mò di invasione barbarica, dall'altra creando allarmismo e paura tra la gente onesta, che non sa come valutare quello che accade.

 

Ben lontano dall'appoggiare chi manifesta intolleranza e altrettando distante da chi minimizza e riduce il problema, si colloca la capacità di meglio descrivere questi fatti, togliendo allora quel “maledetto” termine di microcriminalità, che dice tutto, ma dice nulla, su quanto accade nelle strade e nelle città, sostituendolo con parole migliori, come possono essere quelle già suggerite dal Governo e anche dall'Arma, che comprendono ad esempio criminalità di strada, disagio sociale, emarginazione, devianza giovanile, organizzazione delinquenziale, e lasciando dunque da parte la assoluta voglia di far rientrare tutto in una categoria, per fare numero, dare notizia e creare l'allarme, che a volte c'è e viene sminuito, a volte effettivamente, non c'è.

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