
C’era una volta la regina Elisabetta che, prima di perdere la testa sotto la ghigliottina, governava un reame fatto di grandi contrapposizioni tali da renderlo la primigenia matrice dell’evoluzione sociale, nata da movimenti popolari e sommosse cittadine dell’Europa più prossima alla modernità.
La regina aveva una grande passione per la colazione a base di croissantes calde, appena sfornate e il fato volle che la pasticceria in grado di soddisfare il suo mattutino desiderio, albergasse dall’altro capo della città, in un quartiere assai distante dalla loggia, in cui ella trascorreva gran parte della propria vita. Per ovviare a ciò, ella mise a disposizione una carrozza e potenti e agili cavalli al fine di poter imbarcare su di essa, quanto prima, il dolciume appena sfornato, per poi prodigarsi in una frenetica corsa fino all’imperiale palazzo dove ella, avrebbe potuto consumare la sua fiera prima colazione. Ma per raggiungere la sua meta la carrozza doveva attraversare i quartieri di Parigi: la loro fatiscenza e la povertà che ad ogni angolo popolava ciascun anfratto delle vie, lungo le quali, solo morte albergava, una morte fatta di stracci e di stenti; tale era la misera condizione dei sudditi dell’impero: codesto carro con il suo fumante carico di sublimi odori, doveva attraversa la fame dei parigini che nemmeno potevano sognare un simile dono nei loro più rosei desideri. Immaginate che smacco morale, quale beffa infamante per loro dev’essere stato osservare quella carrozza transitare innanzi, consapevoli che la regina avrebbe si e no assaggiato il contenuto dei cabaret in essa contenuti per poi tralasciarne il resto.
Ci fu una rivoluzione. La regine fu giustiziata in un tripudio di odio e la sua testa fu esposta alla folla che gioiosa applaudiva e per certo in quel momento quella carrozza rivendicava tutto il rancore per troppo tempo sopito.
La storia ha studiato tutto ciò ed asserisce di aver compreso dagli errori del passato eppure oggi, tali errori, forse continuano a fare capolino, impertinenti e lussuosi come lo sono stati nell’epoca remota.
Noi tutti tristemente sappiamo che oggi si combatte una guerra difficile da definire in senso compiuto, un conflitto nebuloso come nebulosa è la natura dell’avversario.
Una cosa soltanto pare essere oramai certa al di là di ogni ragionevo-e dubbio: l’Afghanistan è un paese povero, ma questo termine non rende bene l’idea di ciò che significa tale povertà, essa va oltre l’immagine di uomini e donne che alloggiano in tende e si trascinano negli stracci, va oltre le verità del qualunquismo che i media ci tra-smettono, in un clima di beffa generale, all’ora in cui noi sediamo per consumare la cena.. tale povertà significa dover vivere una vita in totale assenza di certezze, ponendo nel più alto gradino delle apprensioni, questioni come il freddo o la fame.. bisogni essenziali di cui la nostra società ha un lontano e distorto barlume di consapevolezza.
La moneta dell’Afghanistan è denominata Afghani, prima dell’inizio delle ostilità ne occorrevano ben 65.000 per ottenere l’equivalente di un solo Dollaro.
Alla domanda: “Che cosa ti piace di più?” i bambini Afgani di età compresa fra i sei e i dieci anni rispondono la cioccolata, ma molti di essi dichiarano apertamente di non averla mangiata per più di tre o quattro volte, mentre un numero impressionante dichiara di non averla mai assaggiata.
La povertà.. la miseria.. domandano rispetto in virtù della paura che esse incutono.. come risponde il mondo civilizzato innanzi a codesto inulto alla razza umana?
La scorsa settimana sulla passerelle celebri della moda parigina sfilano modelle pagate ciascuna svariate migliaia di dollari, indossando abiti fatti di cioccolata, in un tripudio di colori e di applausi.
Sulle passerelle della moda parigina ha sfilato una carrozza con dentro dolciumi caldi.
Bin Laden è un terrorista e un fanatico religioso, anche Hitler lo era, seppure in modo diverso e come essi, molti altri prima di loro, ma esiste un comune denominatore che catalizza tutto ciò a ritroso nel tempo e ad onore della memoria odierna: l’odio, focalizzatore di ogni estremismo e culla di ogni genocidio, l’odio che scaturisce dalle distanze che la nostra parafrasata civiltà crea, attraverso la povertà e l’umiliazione, sfruttando gli araldi dell’incoerenza e della noncuranza.
Migliaia di persone sono morte negli Stati Uniti l’undici novembre e sono morte in virtù di quest’odio.. se davvero c’è qualcuno che pensa di poterlo combattere con delle bombe allora non ci resta che aspettare una mattina di un giorno qualunque, quando un esplosione atomica, brillerà nel cuore di una capitale, traducendo quell’odio in uno sterminio di massa.
Gli sbagli nascono sempre dalle colpe e fin tanto che non si verificherà un serio, responsabile, ma soprattutto umile esame di coscienza tali colpe sono destinate, come già accaduto fin troppe volte in passato, a ricadere sui posteri.