Hopes and dreams di Maria Falchi
Hopes and dreams di Maria Falchi
Una sera come tante, mentre cerco di non far bloccare il computer, apro la casella dell’e-mail e trovo tra i mittenti il nome di una persona che mi era ben nota alcuni anni fa, ma che ormai consideravo appartenere al file “passato archiviato”. Mi domando per quale oscura ragione le possa venire in mente di scrivermi dopo anni di rapporti zero; inizialmente credo che sia morto qualcuno, visto che, volente o nolente, queste notizie mi vengono sempre comunicate tempestivamente e nei modi più inappropriati.
Leggo: so che ti sembrerà strana questa mail, ogni tanto mi capita di pensare a te, come va?, la tua famiglia come sta?, io tutto bene, mi sposo, tra un po’ finisco l’università, devo tornare al lavoro, un abbraccio.
Rileggo, perché francamente ancora non sono ben convinta di aver ricevuto davvero questa mail. Rileggo e continuo a domandarmi se lady past (per rispetto della privacy, la chiamerò così) non abbia niente di meglio da fare che ripensare a me di tanto in tanto. Rileggo e, arrivata di nuovo al primo capoverso, la soluzione dell’enigma mi appare chiara: il clou della mail sta nel “mi sposo”.
A questo punto sono incerta se ridere o piangere, perché, per la milionesima volta, vedo confermata la terribile teoria secondo cui le donne hanno come obiettivo fondamentale e primario, nella loro vita, il matrimonio. Non importa quanto le statistiche dicano che sono emancipate, quanto lavorino, quanti pochi figli facciano, quante leggi sulle pari opportunità approvino i Parlamenti, quanto gli uomini si sentano disorientati da tutta questa politica d’uguaglianza. Non importa assolutamente nulla di tutto questo al 95% delle donne del mondo: l’unica cosa che importa è che, prima di raggiungere gli spaventosi “-anta”, qualcuno abbia infilato al loro anulare sinistro una bella fede nuziale da mostrare alle amiche e al mondo.
Perché solo in quel momento, con quell’anello, sentono di aver realizzato qualcosa nella propria vita. Non c’è statistica sui divorzi o sulle violenze familiari, non c’è successo lavorativo che possa farle desistere da questo loro proposito. Ma non è tutto. C’è un fondamentale elemento che fa accelerare questo insano processo: il matrimonio di un’amica. Se un’amica si sposa, a breve giro si devono sposare anche le altre, per non fare la figura delle zitelle inacidite che nessun uomo si prende, e per non sentirsi dire: “Com’è bello essere sposate! Oh, non ti preoccupare. So che presto succederà anche a te”. Anche questo aspetto della teoria mi viene, infatti, confermato dalla mail di lady past, perché, dopo qualche momento di riflessione, mi viene in mente che appena qualche mese fa si è sposata una sua amica (l’ho saputo per interposta persona); quindi, anche se si è appena ventenni, di fronte al primo abito bianco del gruppo bisogna velocemente correre ai ripari e inanellarsi a propria volta.
Ulteriore tassello della teoria: quando una donna riesce ad incantare ed incastrare l’uomo di turno (“di turno” significa: il primo che capita a tiro nel momento che la donna ritiene opportuno), sente l’impellente necessità di comunicare il suo successo a chiunque; non solo a parenti e amici, ma anche ai colleghi (“Sapete? Tra poco dovrò chiedere il congedo matrimoniale!”), ai vicini di casa (“Tra qualche mese mi trasferirò in una casa molto più bella!”), al panettiere e al macellaio (“Tra un po’ mi vedrà comprare due baguette e due cosce di pollo, anziché una!”), alla farmacista (“Probabilmente tra qualche tempo verrò a prendere un bel test di gravidanza!”) e, come ciliegina sulla torta (rigorosamente a quattro piani), anche alle ex-amiche con cui non si ha avuto una conversazione degna di nota da quasi dieci anni! La traduzione di tutte queste comunicazioni è solo una: “Evviva! Ho raggiunto il mio scopo! Tra poco sarò sposata e potrò smettere di fingere che mi frega qualcosa di tutto il resto!”
Naturalmente, corollario di quest’ultimo tassello della teoria è il fatto che la novella futura sposa si aspetta grossi “Oh, che meraviglia! Congratulazioni!”, baci, abbracci, lacrime di commozione, urli e salti scomposti di gioia, di fronte alla notizia. E il bello è che deve essere una reazione automatica. Come quando un’amica ti chiede se la vedi ingrassata: “No!” devi subito rispondere, senza neanche muovere gli occhi dal suo viso. O quando un uomo, particolarmente in vena di confidenze, si fa venire in mente di domandarti se le dimensioni contano: “Ma certo che no, tesoro!”
Ma, porca miseria! Sono davvero l’unica donna sulla Terra che non considera sana ed intelligente tutta questa teoria? Sono davvero l’unica donna sulla Terra a non voler inserire nella propria agenda il matrimonio e i figli? Sono davvero l’unica donna sulla Terra a credere che il vincolo giuridico matrimoniale sia nato esclusivamente come contratto di compravendita, con cui un uomo poteva (e in non pochi luoghi del mondo può tuttora) acquistare una donna (che giuridicamente era equiparata agli schiavi e ai bambini) e, con essa, la possibilità di avere una discendenza? E che ora questo istituto non abbia più senso, almeno nei paesi in cui il nostro ruolo sociale e familiare non è più solo quello di aspirapolvere, cuoche e incubatrici? Sono davvero l’unica donna sulla Terra a credere che la vita di una donna è e deve essere altro?
Il problema è che le donne sono programmate per comportarsi come stupide oche commosse di fronte ad una proposta matrimoniale: le fanno crescere rimpinzandole di Cenerentola, Biancaneve, la Bella addormentata, tutti esseri femminili che hanno atteso speranzose il bacio del loro vero amore, che puntualmente si è alla fine presentato. E invece con cosa crescono gli uomini? Con la venerazione per un branco di supereroi coraggiosi e muscolosi, che sono sempre pronti a salvare il mondo da imminenti catastrofi. Ma cosa sarebbe successo alle donne del Novecento se Cenerentola, al posto che girare su zucche e perdere scarpe, fosse andata via dalla casa della matrigna, avesse chiesto una borsa di studio in giurisprudenza o medicina e fosse poi diventata un famoso avvocato o medico?
Frédéric Beidbeger (in L’amore dura tre anni, 1997), in qualità di ex pubblicitario, incolpa anche la pubblicità: “Il matrimonio del resto è solo un modello imposto dall’educazione borghese: oggetto di un colossale lavaggio del cervello pubblicitario, cinematografico, giornalistico e perfino letterario, un’immensa intossicazione finalizzata a spingere incantevoli fanciulle a desiderare l’anello al dito e l’abito bianco, cose a cui, se non vi fossero state indotte, mai avrebbero pensato. […] In un mondo perfetto, una ragazza di vent’anni non sarebbe mai attratta da un’invenzione tanto artificiosa. Sognerebbe sincerità, passione – non un cretino in tight a nolo. Aspetterebbe l’Uomo capace di stupirla ogni giorno che Dio ci manda, non l’uomo che le regalerà scaffali Ikea. Lascerebbe che la Natura – cioè il desiderio – faccia il suo corso”.
Le femministe d’inizio secolo ce l’hanno messa tutta per far riconoscere ai governi formati da soli uomini l’uguaglianza delle donne, ma poi le stesse donne che dovrebbero approfittare dei cambiamenti prodotti grazie a loro e cercare di produrne altri ancora, continuano a sognare il vestito meringato e la torta merlettata.
Una battuta di Ally McBeal (una delle poche serie televisive che non si è conclusa con il classico happy end matrimoniale) credo che sintetizzi bene questo concetto: “Se le donne volessero davvero cambiare la società, potrebbero farlo! Io voglio cambiare la società… è solo che voglio riuscire a sposarmi prima.” Einstein disse che è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Lo stesso vale per gli stereotipi: una volta ben radicati nella testa della persone, sono duri a morire. E un fondamentale stereotipo sociale pretende che le donne abbiano come primo desiderio il matrimonio e i figli.
Per cui, la maggioranza degli esseri umani non si ferma neanche a riflettere sul perché si scelga di firmare un contratto chiamato “matrimonio”. Lo si firma per essere normali, perché lo fanno tutti. Si ha paura di distinguersi da tutti.

Maria Dell’Anno
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