Piacenza Palazzo Gotico fino al 10 maggio 2003. Che le donne abbiano sempre lavorato è un fatto ormai storicamente comprovato anche se, in realtà, l'identità sociale della donna, in passato, era restituita non dal mestiere ma dal suo stato civile (coniugata, nubile o vedova) o dalla sua posizione in seno alla famiglia (madre o figlia, suocera o nuora, moglie o sorella). Lungo la seconda metà dell'Ottocento si comincia a registrare la femminilizzazione di alcuni mestieri (serva, maestra) fino ad allora esclusivamente maschili che, essendo incentrati sulla dimensione dell'accudimento e dell'educazione, non contraddicono la vocazione materna che si pensa strettamente connessa alla figura della donna.
Successivamente, altre professioni vengono conquistate dalle donne che trovano occupazione oltre che come mondine, anche come infermiere, impiegate oppure operaie nelle fabbriche. A Piacenza, in particolare, dopo la crisi che ha portato alla chiusura dei cotonifici e dei setifici, le principali industrie che impiegano donne, oltre l'Arsenale militare e l'azienda dei tabacchi, sono bottonifici, maglifici e una fabbrica che lavora la cellulosa producendo rayon e cellophane. Tuttavia solo nella seconda metà del Novecento, con l'espansione del settore dei servizi e del commercio, con l'abolizione della clausola che consentiva il licenziamento delle lavoratrici che si sposavano e con la scolarizzazione di massa, le donne entrano in settori fino ad allora esclusivamente maschili come quelli delle professioni e dell'imprenditoria.
Questo, in sintesi, è il percorso storico della condizione lavorativa delle donne piacentine di cui l'Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Piacenza ha raccolto una preziosa testimonianza attraverso una capillare ricerca presso archivi fotografici pubblici e privati, attuata con la consulenza scientifica della dott.ssa Severina Fontana.
Il desiderio di far conoscere questo aspetto della nostra storia, ha ispirato l'idea di allestire una mostra fotografica rivolta a tutta la cittadinanza ed in particolare ai giovani che non ne hanno memoria, perché il patrimonio culturale legato alle nostre radici non vada lentamente perduto.