Datemi un part-time... Che cosa ci “vuoi” fare?
Donne e part-time: se ne è occupata un’indagine condotta dall’Isfol, che ha analizzato le cause dell’inattività femminile in Italia. I risultati abbracciano una sfera complessa e sfaccettata che pone nelle differenze le risposte ai molti quesiti, quali i motivi per cui non si lavora, o le condizioni che si ritengono fondamentali per accettare un incarico. Alla base delle risposte del campione delle 6 mila donne ascoltate, tra i 25 e i 45 anni di età, prevale l’esigenza di trovare un’occupazione che riesca a conciliarsi con la famiglia, senza gravare con ulteriori spese. E la soluzione sembra essere l’orario flessibile o ridotto (25 ore settimanali), con uno stipendio mensile (circa 1000 euro) che superi i costi nell’affido della famiglia a terze persone. Tuttavia a incidere sulla scelta sono politiche sociali poco adeguate alle necessità dell’universo femminile, come ad esempio gli asili nido, e dell’orario, con poche aziende family friendly distribuite sul territorio nazionale. Il quadro si arricchisce di ulteriori differenze che affondano le radici nella cultura, nell’istruzione e nella residenza. Come un ragno che tesse la tela, nell’indagine condotta le figlie di non lavoratrici tendono a seguire l’esempio materno. Il titolo di studio è sempre una marcia in più per realizzarsi come mogli e professioniste, ma al Nord l’inattività tocca una soglia inferiore rispetto al Sud, anche fra le donne in possesso solo della licenza elementare. A questo si affiancano dinamiche economiche, come il non trascurabile alto tasso di disoccupazione specie al Meridione, e sociali ancora sostanziali nello Stivale, che mostrano spaccature a cui i sondaggi non possono fornire risposte concrete. E così capita che alla domanda “Perché non lavori?” ci si ritrovi a dare tante di quelle spiegazioni da avere talvolta le vertigini.
Autore : Alessia Antonucci
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