Il mese scorso è ribaltata alle cronache una notizia sportiva "fuori dai gangheri" che citava più o meno questo (dalla Gazzetta dello Sport) "Un'altra bufera sul calcio italiano. Protagonista di una gaffe sessista è il presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, uno degli uomini più vicini al presidente federale Carlo Tavecchio. In un'occasione federale ufficiale, Belloli si è così espresso a proposito del calcio femminile: "Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche". Una frase pesante, senza garbo e senza alcun rispetto, pronunciata dall'attuale numero uno della Lega Nazionale Dilettanti."
La notizia chiaramente ha fatto scandalo, arrivando giustamente a colpire colui che con disprezzo ha "sputato" sul piatto che gli darebbe il pane quotidiano.
Premesso ciò va detto che in Italia la prima squadra di calcio femminile registrata in Albo è stata fondata nel 1933, ben prima degli anni sessanta e della rivoluzione dei sessi, mentre è dal 1968 che le donne hanno un piccolo campionato, diventato poi Campionato Femminile nel 1986, per un gioco di numeri è divertente notare l'inversione delle cifre dell'anno. Da messaggio di rivolta a normalità?
Il calcio femminile, come la pallavolo e il motociclismo, seppur di settore è uno degli sport che rende merito alle donne, in Italia, di aver dato un primato alla donna nello sport agonistico. Siamo abituati a vedere il nuoto, l'atletica, la ginnastica, la danza; il fatto che dal punto di vista strettamente economico, cioè introiti legati agli sponsor, tali sport femminili suscitino meno interesse, ad esempio, cosa non da poco, perché gli uomini tendenzialmente hanno più budget per acquisti in attrezzi sportivi, per cui si predilige tale pubblico, non significa che in quanto agonismo lo sport femminile non sia praticato. Da qui a fare del calcio femminile uno sport a target sessuale la strada è lunga, tortuosa e specialmente folle.