La fortuna della cucina siciliana deve molto all'impiego degli aromi locali. I più diffusi sono il basilico e l'origano, seguiti da alloro, rosmarino, salvia, timo, zafferano e ruchetta.
Inutile dire dell'aglio e della cipolla, padroni assoluti della cucina siciliana, e dell'immancabile prezzemolo, presente in tutti i piatti.
L'uso dell'olio d'oliva è generalizzato, preferito a ogni altro grasso, mentre la sugna è destinata alla preparazione di speciali impasti per focacce o dolciumi. Si preferisce l'uso del sale marino al salgemma; e se proviene dalle saline di Trapani o di Vindicari, ancora meglio.
Gli antipasti non fanno parte della tradizione, e quelli esposti nei ristoranti altro non è che il companatico o il secondo piatto - se non l'unico - della cucina povera: frittatine, pomodori secchi, olive condite, melanzane, verdure domestiche e selvatiche.
Senza pane in Sicilia non si va a tavola, sarebbe inconcepibile.
Ogni paese, ogni città vanta decine di qualità di pane, diverse per l'impasto, la forma, il tempo di lievitazione o di cottura: e infiniti sono i nomi che si danno ai pani per distinguerli gli uni dagli altri. Altrettanto numerosi sono i pani "votivi" o festivi, preparati appositamente per certe feste patronali, con preciso intento di simbologia protettiva. Il siciliano nutre per il pane un profondo rispetto: se ne cade un pezzettino a terra, lo raccoglie e riverentemente lo bacia.
Gli spaghetti furono creati per la prima volta in Sicilia; persino il termine "macarones", che originerà quella di "maccheroni”, è stato coniato nell'isola.
Unica regione italiana lambita da tre mari, la Sicilia è ricchissima di pesce, amato da tutti gli isolani: ne vengono consumate non solo le specie più pregiate, ma tutti e in ogni stagione, con una spiccata preferenza per sarde e tonni, polipi e triglie..
Carne preferita in assoluto è invece quella suina; seguono i bovini (ma poiché la carne locale è sempre stata dura, si è inventato il tritacarne per farne polpette e polpettoni), gli ovini, il pollame e la cacciagione. Quasi del tutto ignorata la carne equina.
Tra le preparazioni sono più numerose quelle che utilizzano le parti meno costose, come le interiora: sono nate così alcune specialità molto gustose, come il fegato nella rete, il cuore ripieno, la gelatina di maiale, la gamma di piatti a base di trippa, e le animelle. Le verdure e i legumi hanno in percentuale surclassato tutti gli altri alimenti nella dieta isolana, vuoi per gusto ma più spesso per necessità: due soli ma straordinari esempi di piatti, la caponata e il maccu di favi.
La produzione di formaggi e ricotte in tutta l'isola è antichissima: sono stati il classico companatico per colazioni, pranzi e cene d’intere generazioni. In Sicilia si produce anche splendida frutta, da quella più comune - ossia reperibile ovunque nell'isola - a quella più rara come le nespole d'inverno (simili a castagne), i lazzeruoli (una varietà di biancospini), i melograni, i corbezzoli, i bagolari o spacca sassi e persino banane. L'uva zibibbo prese questo nome da Capo Zebib nell'Africa settentrionale; il limone lunario è invece chiamato così perché a ogni luna si formano le zagare, e dunque l'albero ha tutto l'anno fiori e frutti.
Il dolce nasce all'origine come "pane speciale", diverso da quello giornaliero. Molti dei dolci siciliani hanno forme geometriche che vengono tradizionalmente rispettate: la cubbaita, ad esempio, ed i mustazzola di vinu cuotto vanno tagliati in forma di rombo; i ravioli dolci e le 'mpanatigghi a mezzaluna; i bucciddati a forma di corona circolare; cannola e gravizzate cilindrici; cassata e altri dolciumi a forma di disco; quadrate le caramelli di carrua. Vi sono poi torte e cassate a forma di cuore; biscotteria che riproduce piante e fiori, come i rami di meli, le olivette di Sant'Agata e la pignulata, oppure imitanti parti umane come le ossa di mortu e i cannaruzzeddi di Sammilasi o riproducenti figure di Santi.
In Sicilia non usa bere vino fuori tavola: taverne ed osterie si sono sempre contate sulle dita di una mano nelle grandi città e sono quasi inesistenti nelle piccole comunità. Pochissime le bevande analcoliche, peraltro riservate ai ceti abbienti: la ormai scomparsa cabbasisata (ottenuta schiacciando i "cabbasissi" e immergendoli in acqua), la minnulata o latti di mennula (acqua impregnata dell'umore delle mandorle spremute), la granatina (ottenuta spremendo i chicchi della melagrana), la siminzata, ricavata dai semi del popone, e infine il semplicissimo latte zuccherato ma freddissimo chiamato carapigna e sciala-cori. Diffusissima invece la consuetudine del caffè, forte, scuro e aromatico. Tra i liquori del passato c'è da ricordare l'uso dei rosoli casalinghi, ottenuti dalle essenze di agrumi, dalla cedronella o altri aromi vegetali. Particolare lo zammù o zambù, originariamente ottenuto dalla distillazione del sambuco.
Esistono in Sicilia delle tecniche di cottura molto originali.
Una è la cottura nella cenere: in genere uova che si mettono tra la cenere calda, o rocchi di salsiccia avvolti nella carta paglia da macellaio preventivamente bagnata con vino. C'è poi la cottura nel sale, oggi di moda ma da sempre praticata in Sicilia poiché l'isola è stata grande produttrice di sale fin dall'antichità: fino agli anni cinquanta era sconosciuta di là dallo Stretto. Altra specialità è la cottura delle anguille con la sabbia: le anguille vengono ricoperte con sabbia di fiume o di mare e poi arrostite sulla brace. Il grasso che cola, insieme alla sabbia via via aggiunta, crea una crosta esterna che a fine cottura viene rimossa e che lascia la carne bianca e ben cotta. Altra tecnica infine, oggi del tutto scomparsa, era quella della balata di zolfo. Gli zolfatai del Nisseno facevano liquefare il minerale per separarlo dalle scorie; ancora liquido e caldissimo lo zolfo veniva colato in apposite vasche, dette balate, dalle quali poi venivano ricavati i pani di zolfo. Un pollo veniva messo dentro la balata, cuoceva all'intenso calore e veniva estratto cotto a puntino, spaccando il pane di zolfo ormai indurito.