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Dov’è la felicità? Il mio punto di vista
Dov’è la felicità? Il mio punto di vista
All’età di ventisei anni, la mia età, non è facile riuscire a trovare una valida risposta ad una domanda così insidiosa.
Credo di poter affermare che ognuno di noi mira ad una realizzazione a tuttotondo: nel lavoro, nella famiglia, nelle amicizie e nell’amore.
Si tratta di progetti importanti a cui dobbiamo lavorare fin da piccoli, giorno dopo giorno, con costanza e coraggio, senza perdere di vista l’obiettivo finale ma soprattutto senza ignorare la quotidianità che ci accompagna in questo viaggio.
Fortunatamente posso vantare una famiglia unita, una bella storia d’amore e rapporti autentici di amicizia nati sui banchi di scuola dodici anni fa. Amiche che ho osservato guardinga il primo giorno di scuola superiore e che inizialmente ho giudicato in fretta, basandomi sull’apparenza, come si usa fare quando si è giovani e inesperti.
Amiche con cui sono cresciuta, assieme alle quali ho affrontato cinque anni di liceo e cinque di università. Amiche con cui mi sono scontrata e che a periodi alterni ho sentito lontane.
Amiche che dopo dodici anni continuo a sentire e vedere regolarmente, anche se facciamo vite diverse, anche se abbiamo obiettivi diversi, anche se abitiamo in nazioni diverse. Il tasto dolente è rappresentato dal lavoro.
Avendo terminato gli studi da poco più di un anno, mi accingo solo ora a fare quel salto nella ‘vita reale’ che molti miei coetanei scelgono di compiere dopo le scuole superiori.
E’ infatti nel contesto lavorativo che misuriamo la nostra qualità come persone: nel rapporto forzato con colleghi che non scegliamo ma che ci capita di avere a stretto contatto per (almeno) otto ore al giorno; nella nostra capacità di integrarci in un meccanismo professionale che esisteva prima di noi e a cui tocca a noi sottometterci (non viceversa); nel toccare con mano il labirinto di contratti a termine, a progetto, di collaborazione che lo Stato ci mette nella condizione di accettare in attesa dell’agognato contratto a tempo indeterminato.
Siamo felici mentre viviamo questa attesa? La risposta è un secco no. Non possiamo gioire davanti a datori di lavoro che approfittano di noi in quanto stagisti sottopagati, né di promesse relative ad una quasi certa assunzione che poi si rivelano puntualmente non mantenute.
E allora, a questa età, con il forte desiderio di crearci il nostro spazio nel mondo del lavoro che caratterizza noi laureati, cosa può appagarci davvero?
La capacità di accettare la gavetta, di scegliere uno stage per accumulare quell’esperienza che poi giocherà a nostro favore. L’abilità di aspettare tempi migliori e la sempre verde speranza che un giorno avremo un posto di lavoro ben retribuito.
La felicità è questo per me, ventiseienne precaria con tanti sogni e innumerevoli aspettative: saper attendere momenti migliori per ottenere un buon lavoro, senza disperarmi se il contratto a tempo indeterminato tarda ad arrivare. Questo è quanto per ora ci offre la società del terzo millennio e noi, popolo silenzioso di giovani protesi ad una vita indipendente, possiamo solo armarci di pazienza e fiducia per il futuro. Nel frattempo mi godo tutto quello che di buono mi è stato donato: una famiglia unita, l’amore, l’amicizia.
Dove sta quindi la felicità? Nella speranza.
E nella capacità di mantenere in equilibrio perfetto quei quattro ingredienti necessari a farci sentire appagati, dosando la giusta quantità di pazienza, forza, coraggio e ottimismo. Si sa, prima o poi arriveranno degli scossoni così forti da farci scivolare, ma la cosa fondamentale sarà non dimenticarsi che, una volta caduti, ci si può rialzare.
Forse ci verrà a mancare uno (o più) di quei quattro cardini attorno ai quali ruota la nostra esistenza, ma ci rimarranno sempre gli altri, per i quali è giusto continuare a lottare. In fin dei conti il sole brillerà per sempre, sono le eclissi ad essere temporanee.
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