Fin da bambina non mi sono mai piaciute le processioni e negli anni
sessanta ancora si usava a Roma festeggiare i Santi portandoli a fare un
giro da una chiesa all’altra o addirittura fino al Santuario di Loreto per
una benedizione speciale: a me, tenuta saldamente per mano da mia madre
balbettante un linguaggio sconosciuto, sembrava una farsa allestita per
ingannare un Dio un po’ miope e bonaccione.
Tutti si erano dati una ripulita sia esteriore che interiore,
niente invidia o pettegolezzi che dividevano parentele intere, mariti
trascinati a forza giù dal letto pronti a correre all’osteria “per una
rinfrescatina alla gola”appena finita la messa ed a riprendere i loro
improperi contro i preti-Dio-i santi e tutte le madonne che riuscivano a
ricordare tra i vapori d’un Chianti o un Frascati....incontravo i loro figli
il giorno dopo con i segni addosso d’una nottata da incubo: la madre con la
faccia tumefatta, le urla del padre e poi loro stessi “sistemati per benino”
perchè s’erano messi a frignare!
No, non mi piacevano quelle parate per un Padre così tonto da
lasciarsi ingannare da quel biasceghìo di parole senza senso; fin d’allora
credevo in un Dio al di sopra delle ingannevoli adulazioni, ero convinta ch’
Egli avesse una vista eccezzionale e sapesse riconoscere la vera essenza d’
ognuno di noi e soprattutto un udito talmente raffinato da cogliere un
preghiera sussurrata nell’anima e per di più nel chiuso d’una stanza.
Data questa mia avversione alle processioni non so spiegarmi ancora
il motivo che, ventenne e già sposata, m’indusse ad unirmi proprio a quella
che si stava celebrando il giorno di ferragosto a Limone, tipico paesino di
montagna oppresso di giorno dall’afa del Garda che, poco distante, lo
guarda diffidente dal suo strapiombo.
Forse fu l’entusiamo di mia suocera o il voler rivivere certe
infantili sensazioni a farmi incamminare dietro la lunga ed esigua fila di
salmodianti.
Fu presto buio su quel sentiero di montagna che ogni tanto veniva
inghiottito dalla radura ancora selvatica e incontaminata: unica fonte di
luce una bella luna tonda che illuminava nugoli di moscerini così densi che
mi sembrava d’affondarvi la faccia in continuazione: fu questo forse a
distrarmi e troppo tardi m’accorsi d’essere rimasta sola con mia suocera ad
una biforcazione del sentiero e di non avere la più pallida idea di dove ci
trovavamo e a che distanza fosse la chiesetta che gli altri pellegrini
(beati loro!) probabilmente avevano già raggiunto.
Alzai gli occhi al cielo come ero solita fare nei momenti di
completo smarrimento spirituale, ma in questo caso si trattava di un
problema di natura fisica e quindi il mio gesto fu più istintivo che
religioso e non m’aspettai davvero di riceverne risposta.
Stavo cercando di decidere quale delle tre biforcazioni tentare ma
avevo il timore che una scelta sbagliata ci avrebbe costretto a passare la
notte alla diaccio con un clima che calava bruscamente dopo il tramonto e
per di più ero terrorizzata all’idea di animaletti notturni come i
pipistrelli, i topi o i serpentelli di montagna!
All’improvviso una colomba bianca di stagliò nitida contro l’alone
lunare che inondava un tratto della lunga fila di pioppi che tracciava una
specie di sentiero molto irregolare e spezzato da altre minori biforcazioni:
era proprio una splendida colomba bianca ed ebbi l’impulso di seguirla
immediatamente quando, spiccando il volo dal ramo dove si era posata, si
fermò su di un altro poco distante come per attenderci paziente; volava
bassa e quel tanto per farsi raggiungere ed io ignorai tutti gli altri
sentieri che via via ci si presentavano per indurci ad una diversa scelta,
mi pareva quasi di udirli mormorare tra il fruscìo delle fronde: “ssscegli
me...no ssscegli me....me...me”.
Alla fine, scostando una siepe si presentò davanti ai nostri occhi
lo spettacolo inatteso d’una spianata di terra battuta leggermente in pendìo
e adagiata dolcemente al centro, una minuscola chiesuola tutta illuminata
dalle candele dei fedeli che cantavano circondandola tutta!
Cercai la colomba: era sparita e non la rividi neppure al ritorno
che si svolse , questa volta, strettamente unite al resto di quella che era
diventata una fila compatta e silenziosa di villeggianti e paesani del
luogo,
Oggi ancora mi chiedo se fu solo un caso ma se anche così fosse non è
forse il caso uno di quei piccoli miracoli che a volte ci aprono dei
sentieri fino allora impensabili: perchè quando diciamo “è solo un caso” è
per indicare qualcosa assolutamente al di fuori dalla Volontà Divina e
quando invece inneggiamo al miracolo siamo certi che l’uno escluda l’altro?
Quella colomba è rimasta dentro di me per tutti questi anni ed è il
simbolo di quelle risposte delle quali non sono stata sempre pronta a
seguire il volo.