L'ultimo romanzo di Cristiana Bullita
L'ultimo romanzo di Cristiana Bullita
Un imprevisto è la sola speranza

L’ultimo romanzo di Cristiana Bullita, Cronache metropolitane

Per le edizioni Watson (2015) esce l’ultimo romanzo di Cristiana Bullita dal titolo Cronache metropolitane,  “una storia romantica ma non retorica, commovente ma non melensa, spero che possa essere un piccolo ma efficace antidoto alla scabrosità e al cinismo nei nostri tempi”, come l’autrice stessa lo definisce.
“Relazione o registrazione impersonale di fatti secondo la successione cronologica: concettualmente distinta dalla storia, in quanto mancante di ogni criterio interpretativo”: questa è la definizione del termine “cronaca” che si trova nel Dizionario della lingua italiana di Devoto-Oli. Infatti, il libro si apre con il racconto di una giornata banale da parte della protagonista dal nome – Maria - anch’esso comune proprio come lei, in cui tante lettrici comuni potranno identificarsi. Maria - afflitta da ansia sociale -  fa l’insegnante di Italiano e Latino, è sola, ha circa cinquant’anni, alle spalle una maternità mancata, una storia con Gianfranco, sposato, conosciuto a trentasette anni, in occasione degli esami di Stato. La vita di Maria scorre come quella della maggior parte di noi tra inquilini rumorosi, programmi demenziali in TV e pubblicità esaltanti: occasioni per la scrittrice di sottolineare le derive della tecnologia odierna. Cronache di tutti i giorni in una grande città.
Maria soffre del complesso di Cenerentola, così bene analizzato da Colette Dowling, quello, cioè, di voler “essere salvata”: io sono sempre sola. Ecco tutt’a un tratto, la verità che ho cercato di evitare con tutte le mie forze. Detesto l’idea di essere sola. Vorrei vivere in un marsupio, nella pelle di un altro. Più dell’aria, dell’energia, della vita stessa, voglio sentirmi sicura e calda, avere qualcuno che si prenda cura di me. E questo, mi spaventa ammetterlo, non è affatto una novità. E’ un bisogno divenuto parte di me da molto tempo (Colette Dowling, Il complesso di Cenerentola, p. 13). E’ così anche per Maria: in una situazione d’emergenza, lei soccombeva all’impulso puerile di sperare in un salvataggio speciale. Su un destriero d’acciaio sarebbe giunto il bel cavaliere e le avrebbe offerto il suo braccio possente per salire in sella. L’acquazzone si sarebbe dissolto in un battito di ciglia incupite da mascara dozzinale non waterproof, giusto in tempo per evitare imbarazzanti strisciate sul suo ancora incredulo sembiante. Maria avrebbe abbandonato lo zigomo franato sui marmorei trapezi del soccorritore, che avrebbe lanciato ardimentoso la sua Harley-Davidson sulle autostrade della felicità, sotto un cielo finalmente terso e inondato di luce (p. 59). Il principe azzurro di Maria è Gianfranco di cui è ancora schiava  e del quale continua ad aspettare il ritorno. E’ che Maria non ha ambizioni.
L’ambiente in cui si svolge la vita di Maria è quello della scuola – che il libro sia autobiografico? Si legga la bella dedica agli alunni di sempre – della quale sono sottolineate con ironia discrepanze e assurdità. Viene in mente il libro di Domenico Starnone dal titolo Ex cattedra, suo primo libro, un diario che raccontava in diretta la scuola del 1985-86: Questo libro per me è una teca. Conserva e insieme espone le reliquie di un lavoro lungo, quello che ho fatto nelle aule per una trentina di anni, quello che ho fatto scrivendo, sia per il gusto di raccontare, sia per amore della scuola pubblica. Non si tratta di stinchi di santo dal profumo che ritempra. Ma per me è stato un tirocinio importante e una parte fondamentale della mia esperienza. (Domenico Starnone). Però, Maria ha una valvola di sfogo: tiene un diario, non più scritto a mano, ma, come si conviene ai tempi, al PC, una sorta di quaderno proibito alla maniera di Alba de Céspedes. La de Céspedes confessò pubblicamente: Non so immaginare la mia vita senza la scrittura, cosa che vale non solo per Maria ma per anche per la Bullita: Il suggerimento più accessibile era sembrato a Maria quello di abituarsi a scrivere i propri pensieri, specie quelli aggressivi e masochisti. Doveva farlo in modo semplice e diretto, per sviluppare una prima abilità comunicativa simulata che avrebbe favorito le altre (p. 18). Siamo nella scrittura dentro la scrittura. Le sue pagine di diario hanno titoli che sono tutto un programma: Virus pedagogici nella Sinistra contemporanea e fobia scolare nei docenti oppure Esibizionismo mediatico e nichilismo o ancora Guida spregiudicata dei bulli di periferia.
Ma Maria non è la sola protagonista del libro: c’è Vira, moldava, badante, vittima dei soprusi del vecchio che accudisce, vedova con due figli Yuliana e Stefan. Le storie delle due donne si svolgono in parallelo, facendo emergere problematiche differenti e ambienti diversi. La famiglia di Vira, nonostante la perdita del padre, i disagi dell’emigrazione, la fame, la solitudine, la paura, paradossalmente,  è più vera di tante famiglie italiane. Le vite s’intrecceranno grazie a Yuliana, figlia di Vira e allieva di Maria. Questo libro è la storia di una maturazione, di una crescita, quella di Maria che diventerà madre affidataria di Yuliana e Stefan, uscendo così dal proprio egoismo e dando un senso profondo alla sua vita. Assumendo la responsabilità dei due bambini, arriverà alla più completa autonomia: non aspetterà più il Principe Azzurro e non riterrà più che un imprevisto è la sola speranza perché la sola speranza è lei stessa. Solo allora sarà capace di aprirsi al futuro e alla vera esperienza dell’amore, solo allora tutto sarà possibile e il cerchio si chiuderà nel momento in cui alla fine del libro cade la neve, quella neve tanto amata da Yuliana: un sentimento condiviso - sorpresa incantata - dalle due donne.
Uno dei temi più appassionanti del libro – che ha un solido impianto - è quello del ricordo, del ricordo del proprio Paese, delle proprie radici: la nostalgia di Yuliana che ama la neve della sua terra e di Vira si tocca con mano: (Vira) Doveva preparare il pranzo per il vecchio. Con un coltellaccio affilato aprì il ventre di una spigola  e le cavò i visceri. Con la mente era sulle rive del Mar Nero, nella casa della sua infanzia, in Ucraina (p. 81); “La neve è bela…”. Yuliana aveva nelle pupille fiocchi di memorie che si avvitavano in gioiose spirali e la proiettavano fuori, lontano da quell’aula polverosa e inondata di luce gialla. La neve era il suo argomento preferito, l’algida allegoria del suo breve passato in terra lontana, ma capace di scaldarle il cuore (p. 74). Nostalgia mista a tenerezza, dolcezza, sogno.
Un’ultima osservazione sullo stile. E’ sempre un piacere leggere i romanzi di Cristiana Bullita perché ci riporta indietro nel tempo, alla bella lingua italiana oggi dimenticata di cui Moravia, Pasolini, Pavese, Gadda, Pratolini e tanti altri sono stati illustri esempi. Esempi di cui Cristiana è la degna erede.

Fausta Genziana Le Piane
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