FAUSTA GENZIANA LE PIANE E LA LIBERTA’ D’ESSERE VIVA COME IL VENTO IN
OSTAGGIO DELLA VALLATA
Credo non possa esserci migliore approccio all’opera di Fausta Genziana Le Piane di quello di prendere spunto da una delle poesie contenute nell’ultima delle sei sezioni che compongono Ostaggio della vallata.
Mi riferisco a Poesia, che cito integralmente: “La mia Poesia / mi piace / portarla / con me / ovunque. / Nascosta. / Partecipo / alle cose / in modo diverso.”.
Cosa si evince da tanta asciuttezza, da queste che – più che parole – sono tracce di scalpello scolpite sulla pagina? Intanto che, per la Nostra, scrittura e vita vanno di pari passo, camminano insieme; “ovunque” c’è l’una, c’è anche l’altra e viceversa.
Ma la poesia si tiene “nascosta”: non per disagio, non per vergogna (s’imbarazza chi non la conosce), tutt’altro: chi ne percepisce il vigore, l’importanza, vuole proteggerla.
Sarà bene, però, immediatamente chiarirsi su questo punto: tutelare non significa segregare, rinchiudere in una torre d’avorio il proprio intimo sentire, costringere il volo della parola in una gabbia dove impossibile è aprire le ali. Niente affatto: difendere la poesia – difendersi, in definitiva – ha come condizione irrinunciabile una ferma necessità: essere liberi, prendere aria e tornare parte di un respiro, del respiro universale.
“Partecipo” – scrive la poetessa –; come dire: intervengo nel mondo, non: mi assento, me ne sto per conto mio a bearmi e compiacermi del dono che ho ricevuto.
Libertà è partecipazione – cantava Giorgio Gaber in un suo conosciutissimo brano – e Fausta aggiunge dell’altro, una peculiarità che è , solo, della comunicazione in versi. Chiude il testo suddetto con una sottolineata consapevolezza: io partecipo – dice, parafrasandola – parlando ed esprimendomi non usualmente, e lo faccio di proposito, perché desidero togliermi la maschera che, quotidianamente, devo indossare.
Ecco, allora, sempre più nitido il senso di quel nascondimento che – quasi paradossalmente – consiste, invece, nello svelare, nel rivelare a tutti (compresa se stessa) ciò che realmente si è.
M’interessa, m’interessa moltissimo: reputo una componente fondamentale di questa poetica, che tanto si avvicina alle ragioni profonde della poesia, l’esternazione di un siffatto pensiero.
Mi spiego, cercando di sintetizzare così quello che è anche il mio punto di vista: il poeta si nasconde, si eclissa per non farsi stordire dal rumore del mondo, ma è proprio questo il suo modo per immergervisi totalmente. In altri termini: preferisce combattere il fracasso opponendo al medesimo non un silenzio che nasce soltanto dal dissenso e, dunque, vuoto e insignificante ma una quiete reale, costruttiva, capace di elevarsi, di farsi ascoltare nonostante il baccano si faccia sempre più assordante e sembri avere la meglio.
Non vorrei, tuttavia, si fosse portati a pensare che l’esegesi della raccolta si esaurisca in queste – seppur basilari – osservazioni.
Ho insistito sulla poesia, fin dall’inizio riferita e considerata, sia per il suo valore intrinseco sia perché fa parte della sezione Torneranno le parole; sezione in cui anche altre liriche rivestono un’importanza assai significativa ai fini dell’intera poetica che anima, pagina dopo pagina, l’opera.
Suggerirei, ad esempio, questi versi: “Spaventapasseri / in un campo deserto sei / dove il grano muore presto / e il sole brucia troppo in fretta.” (da Fantoccio, p. 118), nei quali leggo la metafora dell’uomo “ripieno di paglia”, insensibile a quanto intorno gli accade, salvo essere ridestato da chi, contemporaneamente, lo teme e vuole giocare con lui: il bambino; i bambini che siamo sotto un “cuore di stoppa”.
Come dicevo poc’anzi, però, neppure nelle altre parti, in cui risulta diviso il libro, mancano precisi riferimenti che riconducono alla Weltanshauung della Le Piane.
La stessa lirica eponima, Ostaggio della vallata, appunto (in Resuscita Lazzaro, IV sezione) è indicativa al riguardo.
Chi, viene fatto prigioniero? Chi è oggetto del rapimento? Il vento. Ma – c’è da domandarsi – si può catturare il vento? E, se si, chi è in grado di farlo? La risposta è nel titolo: una valle.
A pensarci bene, è vero; una vallata può riuscirci temporaneamente, poi, “il vento si libera”, raccoglie ciò che desidera di più e s’avvia “verso una notte d’amore”.
È, di nuovo, il traslato sul piano umano a colpire (come succede con la personificazione della solitudine nel testo seguente).
A Fausta – tengo a ribadirlo – interessa la vita: da quella de Il brivido della terra (da Selene ed io, prima sezione), dedicata senza un filo di retorica a L’Aquila, squassata dal terremoto, con una chiusa da far tremare i polsi a noi uomini, scellerati e superficiali: “Nessuna coperta / poté / proteggerla (la terra) / da brividi di orrore e di paura.”; a quella che, nonostante tutto, e sempre, crede al Futuro (p. 48), che non allenta la presa, alla quale chiede di scioglierle i capelli ma mai “l’enigma che è in (lei)”, che pulsa all’unisono con il suo ed il cuore di tutto il creato.
La vita, che ha una “fragranza impegnativa” (un aggettivo straordinariamente scovato) in una “stanza d’ospedale”, che sbatte le ali come “farfalla cieca” dentro il seno di Ivana e, tuttavia, “spande” profumo di primavera (Cellula impazzita: da Nell’incavo caldo, III sezione della raccolta).
La vita: quello “Sbocco d’amore / come di sangue / a fiotti / caldo / rosso / violento” (da Fermasogni, V sezione) che fa compagnia all’anima “non nel sonno / . . . . / ma nell’attimo che separa / il giorno dalla notte.” (L’anima mia non riposa, p. 36).
Il solo momento che – in ogni tempo e in ogni luogo – permetterà alla poesia di salvare – ancora una volta – il mondo lanciando le sue “biglie (parole) colorate” (Torneranno le parole, p. 128) come fanno i bambini, “concentrati” nel gioco di un’estate.
Come fa Fausta: concentrata a scrivere, a rispettare, ad amare la vita.
Sandro Angelucci
Fausta Genziana Le Piane. Ostaggio della vallata. Edizioni Tracce. Pescara. 2014. € 11,00