Titolo forte per questa esile silloge di Lorenzo Spurio, “Neoplasie civili”, Agemina, Firenze, 2014, già noto come saggista, scrittore e critico-recensionista.
Da subito si intende che le liriche sono intrise di materia: plastica, cemento appunto, creta, ferro, legno, fango ecc che delimitano l’esterno e l’interno, la realtà e l’interiorità.
Questo contrasto, questa separazione sono evidenti nella lirica intitolata “Mai più così” e ancora di più in “Giù la serranda” dove il Poeta è spettatore di una realtà che spesso è ostile e ferisce e che è incapace di vivere: “Contemplavo quel lento turbinare, “Giù la serranda”; “Mi affaccio alla finestra”; “Fumavo alla finestra”, “Portland”).
Così come è duro e impenetrabile il cemento, anche la città, con i suoi strali, capannoni di eternit, cavalcavia di cartapesta, fessure frastagliate, gomme da masticare ecc. , che fa da sfondo a queste belle poesie, lo è.
E tutta la fraseologia – aggettivi e verbi – che si riferiscono ai suddetti materiali rimandano ad una realtà ancora una volta estraniante e violenta: davanzale scheggiato, intonaco fradicio, marciapiede spaccato, lapilli gelati, pianti pietrificati, legni scheggiati o scricchiolanti, ferro ammuffito, mostri tentacolari ecc.
Il cemento – screpolato, spaccato, pietrificato, non più fresco - è la metafora primaria presente in molte poesie. La vita è inafferrabile e inaffidabile.
Come nelle poesie di Charles Baudelaire de “I fiori del male” dedicate alla città – “Tableaux Parisiens” -, anche queste poesie ci mostrano il volto moderno delle nuove metropoli - “Città formicolante, città piena di sogni”, “I sette vecchi” (1) - quello della solitudine e del pianto - “Parigi muta! Resta la mia melanconia”, “Il cigno”, (2).
Città alienante per stessa colpa dell’uomo arrabbiato (“Al campanile del ‘domo”), tanto da fargli perdere la propria identità: “M’illudo di esserci, ma non so / e per questo mi domando: “chi sono?” (“Muschi settembrini”) si chiede sperduto il Poeta. E ancora:
…
La radio frusciava,
la televisione strillava,
io mi specchiavo
per ricordare a me stesso
come fossi fatto.
(L’infanzia violata)
E c’è pure il misterioso gatto - grazioso e robusto animale - feticcio di Baudelaire (anche in “Di colpo”: (…) una cavalletta mutilata da un gatto / fu l’ultima cosa che vidi):
….
Un gatto senza coda
correva baldanzoso
zampettando felice
in un prato
poco distante da me.
(Non più favole)
Un richiamo alla Bellezza della vita (“mi sono chinato a terra e…ho colto un fiore giallo / cresciuto lì, forse per sbaglio”, “Il fiore giallo”) perché nonostante tutto il cemento, che è anche trasformazione, ha la capacità di mantenere solidalmente uniti materiali che da soli andrebbero allo sbando; è rafforzamento, garanzia della stabilità e della durata della Poesia:
CERCHI
Sempreverdi ombrosi
al margine del cemento
screpolato
spaccato
rialzato
si inchinano al Cielo
sfidano l’umano. Religiosi cerchi nel vuoto
cimieri assolati di pianti
di chi più non ci sarà.
Fausta Genziana Le Piane
(1) Charles Baudelaire, Les fleurs du mal, Mursia, 1974, p. 207
(2) Op. cit. p. 205