Ennio Calabria: dipingere è un modo per conoscere
Della mostra allestita per la carriera del grande artista Ennio Calabria a Palazzo Cipolla in Via del Corso, 320 - Ennio Calabria, Verso il tempo dell’essere, opere 1958 - 2018 - che si conclude il 27 gennaio 2019, penso che il web ed i giornali sappiano fornire tutte le dovute informazioni.
Una vera scoperta le sezioni dedicate ai pastelli ed ai manifesti.
Il video introduttivo è molto ben fatto e significativo: prima di tutto, mostra l’Artista nel suo ambiente di “lavoro”, tra le sue tele, i suoi colori, i suoi pennelli, rendendocelo più accessibile; poi, mette in relazione la tecnica pittorica, dunque il gesto che si sovrappone ai fenomeni, ai ritmi, spesso forsennati, del vivere quotidiano di oggi. Binomio che caratterizza lo stile di Calabria.
L’Artista è stato definito in tanti modi, ma a me, che non sono un critico d’arte ma solo un’ammiratrice ed una visitatrice, vengono in mente solo alcune riflessioni.
Il quadro che si trova sulla copertina del dépliant esposto alla mostra e del catalogo riproduce Biografia rivisitata, 1989: Mia madre è vestita da sposa e mio padre, la cui immagine si orizzontalizza prospetticamente, si prepara ad uscire. Come in un precoce presentimento della sua prossima morte. Io sono quel piccolo aeroplanino di carta sospeso. La donna, una delle più descritte dall’artista, ha un volto soave, perfetto, ben delineato nei lineamenti, le labbra sono rosse come le rose che porta tra le mani - abbandonate in quelle di lui. La sposa sembra guardarci, nessuna sofferenza, nessun dolore. È tutta vestita di bianco - un bozzolo candido -, il bianco delle spose, unico colore, quel colore - assoluto, positivo - della purezza che accarezza il cuore. E dietro la sposa, un’ombra…: l’ombra della donna o l’ombra di Calabria? L’uomo si china su di lei con atteggiamento amoroso, le prende la mano, guantata. Bianca la mano, bianche le scarpe, a punta. Un’unica situazione, un unico sentire. Una coppia dove non c’è alcuna situazione di conflittualità, nessun turbamento, anche se la campana sta per suonare…La parte alta del quadro - nera - non lascia presagire nulla di buono: scura, è popolata da mostri, sembianze di pesci, animali, occhi. E Calabria? Calabria è quell’aeroplanino sospeso: certo, l’Artista vola alto con la sua arte, con la sua vita, con i suoi sogni. Forse è quell’aereo che passa in Passa un aereo, 04/2004, gettando un’ ombra sull’intera tela? Oppure l’Artista è quel pittore volante che nel proprio autoritratto del 1961 si vede fluttuare tra le nuvole, sospeso tra una realtà sponsorizzata dalla responsabilità della coscienza e, dall’altra parte, invece, dal canto seducente di non collocabili gratificazioni? Ma la metafora dell’aereo ci introduce nel tema di bisogno di spiritualità di Ennio, desiderio di liberare l’essere del suo io terrestre, tramite l’accesso purificante alle altezze celesti: Noi vediamo frequentemente ai giorni nostri che le auto e gli aerei sostituiscono, nei sogni contemporanei, gli animali favolosi e i mostri dei tempi passati (C. G. Jung). Il quadro ha un andamento circolare (suggestione di movimento alla Boccioni) che riproduce un vortice, il turbine che coinvolgerà presto - nel destino - la vita della coppia. A destra, una sferzata di rosso - una pugnalata -, colore che troviamo spesso nei dipinti di Ennio (per esempio, in Rosso lacerazioni, 1989 oppure in Evento nell’acqua, 1989 oppure ancora in Il pensiero nel corpo, 2010), espressione della passione pura per la vitac, per l’arte e per l’impegno.
Calabria predilige il grande formato nel quale è facile che si mascherano moltitudini di simboli. Infatti, i quadri di Ennio sono un po’ come quelli di Hieronymus Bosch: bisogna avvicinarsi per scoprire che vi è nascosta una miriadi di particolari, di riferimenti, di sogni, di incubi che in realtà costituiscono l’essenziale e che, partendo dal particolare, arrivano all’universale.
Se per Gustav Klimt era il volto delle donne ad avere il sopravvento ed il corpo poi era una massa d’oro, qui ho individuato tre simboli: le mani, i piedi e l’ombra che mi hanno fortemente colpita. Sono i punti focalizzanti al mio occhio.
I primi due elementi escono prepotentemente dal quadro dandogli significato. Prendiamo, per esempio, le tele dedicate, per così dire, al vizio odierno di non separarsi dai telefonini, a quella schiavitù che dice quanto Calabria sia sensibile al clima della società di oggi (e a quanto ci viva male!): parte da un dato concreto per arrivare a stigmatizzare i lati negativi del nostro comportamento. Fusione celibe, 2016: Due innamorati si addormentano abbracciati ma ciascuno se ne va con il proprio telefonino affermando la nuova legge virtuale secondo la quale “masturbandosi si fanno i figli”. Le mani sono grandi e tuttavia non si vedono, sono invase, occupate interamente dalla presenza del telefonino, quelle mani che dovrebbero accarezzare, toccare, conoscere, offrire. Bisogna ricordare che la parola manifestazione ha la stessa radice di mano; è manifestato ciò che può essere offerto o afferrato dalla mano. Cosa si manifesta oggi, nel nostro tempo? Il motivo dei cellulari e dell’incomunicabilità si ritrova ancora nella massa scura di corpi aggrovigliati di Lo scoglio, 2018, dove i protagonisti vanno ognuno per conto proprio, persi nella visione delle loro odierne appendici!
Riflettiamo sulle diverse forme e posizioni delle mani in La giuria, 1959 dove ogni mano definisce il carattere dei protagonisti; mani spaventate che cercano appiglio muovendosi scomposte nell’aria in La città che scende, 1963; mani che pregano in Gravido mistero, 05/2018; bellissima mano, ampia, ben aperta, supplice che interroga, constata e argomenta in Inchiesta autobiografica, 1989; mano protagonista, fondamentale - cruciale per il senso del dipinto -, che tiene un accendino - (sarà un attentato? sarà il calore del sapere o di un ideale?) in I giovani, 1979; mano bellissima e sensuale, anche questa affusolata, che tiene forse un mazzo di rose di Caffè Florian, 1981 e infine mano languida, quella del ritratto di Proust che si offre per perdersi nel flusso azzurro del tempo, quel tempo così importante ne La Recherche.
Parlavo di mani ma anche di piedi, spesso scomposti, persi in cerca di senso, di una collocazione nel mon-do, quasi sempre sottili e aggraziati…insomma…in punta di piedi! Parti che delimitano il corpo, che lo racchiudono dall’alto al basso, caratterizzando la persona. I piedi misurano l’universo, la terra in tutte le direzioni, lasciando l’impronta dei passi, la traccia della nostra presenza nel mondo: ci sono e ci resto, il piede formula il desiderio di rimanere presente. Ancora una volta bisogno di concretezza di Calabria (avere i piedi per terra) associato, però, ad uno slancio spirituale, verso l’alto, continuo, in quanto il piede è la forza dell’anima, secondo Paul Diel (1893-1972), poiché è il supporto della posizione eretta, caratteristica dell’uomo. Il piede vulnerabile (Achille), zoppicante (Efeso), ogni deformità del piede rivela una debolezza dell’anima. E l’anima di Ennio è forte. I piedi spesso volano - agilità -, ma restano il punto d’appoggio del corpo nell’andare avanti. Dai piedi danzanti di Piazza Risorgimento, 1983 che accompagnano le movenze della braccia ricreando quasi la forma di un uccello pronto a spiccare il volo, all’ Imponderabile nel circo, 1958 in cui mani perfette cercano appoggio saldo nella realtà e chiedono luce e sole fino ad un quadro che vale per tutti, Frammenti a parete, 1978 in cui uomini e donne confusi, mettono i loro piedi in primo piano, grandi, invadenti. Noi non sappiamo a chi appartengono. A chi apparteniamo.
Anche la presenza dell’ombra mi ha affascinato: quale è questa ombra? È il mondo onirico del pittore? È l’ombra che ci sovrasta, che vince il nostro io più interiore, facendoci rischiare di allontanarci dalla nostra più profonda essenza, per essere trasportati in una realtà finta, fittizia in cui l’avere conta più dell’essere, quell’essere che dà il titolo alla mostra. Che sia il nostro inconscio che ci insegue? Che cerca di esprimersi? Dove ne troviamo la presenza in Calabria? Prima di tutto alla fine del video d’entrata; poi nell’uomo nascosto di Fusione celibe (lei nella luce, lui nell’ombra, lo yin e lo yang, aspetti della coppia, dove nessuna comunicazione è possibile); in Ombre del futuro, 2008; in Giovanni Paolo II, Il vero nel falso, 2005 e L’ombra sul corpo, 2005. “Quando tu, Antonioni, dichiari in un’intervista con Godard: ‘Provo il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano affatto realistici’, tu testimoni una corretta percezione del senso: non lo imponi, ma non lo abolisci. Tale dialettica conferisce ai tuoi film una grande sottigliezza: la tua arte consiste nel lasciare la strada del senso sempre aperta, e come indecisa, per scrupolo. E’ proprio in questo che tu assolvi il compito dell’artista di cui il nostro tempo ha bisogno: né dogmatico, né insignificante”. Queste parole, pronunciate da Roland Barthes in occasione della consegna del premio ‘Archiginnasio d’oro’ a Michelangelo Antonioni nel 1980, possono aiutarci a saperne di più anche sull’arte di Ennio.
Fausta Genziana Le Piane