Al cospetto di mia moglie che rompeva le scatole, ho preso la cosa più vicina alla mia mano da tirarle, per farle capire che non era aria.
“Cos’è stà roba ?”, si affrettò a commentare. Incuriosito sollevai la testa e scoprii, infastidito, di averle scagliato addosso “Caffè, Valeriana, Vomito, Sigaretta” dell’Antonellina Bilei, che avevo appena finito di leggere e di chiosare.
“E’ il romanzo di una mia amica”, dissi allungandomi tutto per recuperare il libricino (circa 50 pagine), 5 € di spesa per un’ora di consigliabile lettura.
La sfrontata foto di fine libro, oltre al titolo (tutto un programma), mi avevano predisposto a tutt’altra cosa. “Non è lei, non l’ha scritto lei…”pensai dapprima.
Poi lessi.
“Me in mille pezzi. Me sparpagliata per terra. Ma che diventavo un puzzle distrutto.
Me che sparivo.”
“Andai a letto. Solo Agapito (il cane) mi raggiunse.”
“Volevo prendere a sassate tutti i sessi maschili, soprattutto il suo, chiedendogli dov’era mia figlia.”
“Guardavo con estremo rimpianto le immagini degli amici che in un modo o nell’altro si allontanavano al mio orizzonte, quel tempo che mette le distanze.”
Tranquillizzato, accennando larghi sì con la testa, dissi convinto: “E’ lei, non è impazzita lei o impazzito io. Grazie a Dio.”
Tutto conduce apparentemente fuori squadra, fuori l’aplombe del normale, del possibile e del probabile, in questo romanzo.
Le figure che si incrociano, la vita che scorre a singhiozzi, nomi e visi di “amici” che appaiono e scompaiono, l’amore, finalmente.
Quello vero, forte, passionale, che permea di sé l’anima, che porta alla maternità sognata e temuta, al terrore, alla perdita della bambina, alla bontà appena accennata, alle violenze esplicite.
No drug, no sex, no rock n’roll.
Ma la verosomiglianza con una storia qualunque, dapprima negata, poi sempre più forte, fino alla sovrapposizione totale, chissà se voluta dai personaggi, sfuggenti da clichet preordinati e consunti, eppure quasi ossequiosi alle parti loro assegnate.
Uno stile ora sobrio, ora ridondante, magari di epiteti negativi e oscenità, e poi il dolore.
L’Amore e il Dolore.
Quante vite si alternano su quest’asse fatale ? E’ ciò che la Bilei costruisce con acerba maestria, con qualche strizzatina d’occhio fugace al lettore, forse, che nella storia non stridono.
E’ invece bruciore autentico ciò che le infiamma l’animo, ciò che le fa descrivere il suo personaggio di futura (e incosciente madre), fino alla violenza più grande, “cercando nelle parole del dottore una parola che non fosse aborto”.
Nessuna prefazione che anticipi scenari, subito il discorso diretto, subito i sentimenti, le emozioni più forti, i pensieri, a dominare una scena a volte calda e intima, più spesso straziante e dura.
Senza mezzi termini ad addolcire pillole, solo la vita che fluisce, con chiarezza, con lealtà, con paura, subìta con schiacciante senso di colpa e debolezza, senza possibilità di catarsi.
“Alla vita. La mia”: la dedica finale. E in quel “mia” si legge tutta l’incosciente spudoratezza dei vent’anni. Sì, va bene così, Elisabetta, e che l’arrivo al “Cuore trapiantato. Operazione eseguita con successo”, sia soltanto l’inizio del tuo personalissimo modo di affrontare temi scabrosi con la forza “irragionevole” del tuo argomentare.
Fra poco i lupi morderanno veramente le tue giovani gambe, a chiedere il conto, perché così succede nel nostro ambiente.
Io sono convinto che tu avrai le palle per urlare a chi cercherà di rubarti la scena “Che tu sia maledetto!” come la protagonista del racconto, per poi riprendere nuovamente la penna, volando sulle ali della tua passione.
Forse altri toni, altre atmosfere, altri ambienti, altri visi, ma un unico Cielo sopra di te: quell’Arte.
Aprile 2005
Luciano Recchiuti
ELISABETTA BILEI
“Caffè, Valeriana, Vomito, Sigaretta”
Edizioni “Il Foglio” – Piombino
Aprile 2005 - € 5,00