Un pittore prende in mano la sua creatività.
E con questa dipinge sfondi che portano chi lo segue a varcare nuovi mondi, mondi fantastici.
Il pittore può anche non usare la tela e il pennello ma preferire carta e penna.
E allora si chiama scrittore.
Come quello che intervistiamo oggi: Leonardo Colombi.
Rileggere qualcosa che hai scritto è come tornare a casa?
In un certo senso si, dipende dall’opera. Diciamo che tendo, se me ne ricordo ancora, a tornare con la mente al momento in cui ho avuto l’idea/ispirazione o alla circostanza che mi ha portato a scrivere quel testo. E al contempo riesumo ricordi ed emozioni che per un poco avevo archiviato…alle volte questo può far anche male…in senso buono, ovviamente! Visto che è anche e soprattutto gra-zie alla esperienze negative e dolorose che si cresce e si matura!
In ogni caso c’è da dire che molto spesso se rileggo quanto ho scritto è anche per capire come cor-reggerne parti oppure ampliarne o limarne altre…
Quindi, rileggere è per me un momento che vivo sotto l’influsso di due spinte: una verso il presen-te/passato e quindi vero i ricordi e le esperienze vissute, e un’altra invece più orientata al presen-te/futuro. Dell’opera soprattutto.
Scrivere, per te, è raccontare il mondo o sognarlo diverso?
Un po’ tutte e due le cose.
Nella mia produzione si può trovare di tutto e molto spesso tendo a confrontarmi e a partire dal pre-sente e dal reale. Ho scritto opere che, a modo loro, volevano essere di denuncia e di riflessione sul-le tematiche più disparate (guerra, scienza, suicidio…) .
Però al contempo non posso negare di essere un ingenuo sognatore e di avere una fantasia sempre in movimento per cui, molto spesso, mi rifugio nel fantastico e mi capita di scrivere testi che si rifanno al fantasy oppure che descrivono situazioni “quasi” reali ma con l’aggiunta di elementi presi a pre-stito da libri, film, fumetti e videogames con cui ho avuto a che fare.
Tendenzialmente comunque nelle mie opere non vi è la ricerca di una diversa visione della realtà ma quest’ultima è (quasi) sempre il punto di partenza per la creazione di quanto scrivo.
Senza lettura esiste scrittura?
Non saprei dirlo con certezza…bisognerebbe provare su qualche cavia e vedere che succede (sorride).
D’istinto direi di no visto che in ogni caso leggere rappresenta un momento di crescita e di confronto oltre che un momento per imparare, sognare e svagarsi un poco. Però c’è anche da dire che in questi ultimi tempi siamo sempre più soggetti ad altri tipi di esperienze che vanno a contribuire alla comunicazione e alla produzione letteraria. Mi riferisco alle pubblicità o ai film, per esempio che di sicuro ci influenzano o ci abituano ad un modo di comunicare più immediato e “visivo”.
Tuttavia trovo che bisognerebbe rivalutare il piacere della lettura abituando i ragazzi e le ragazze fin dalla scuola a leggere e a confrontarsi con i vari autori…e non solo quelli classici o quelli storici! Certo, questi non vanno trascurati minimamente (anzi!) ma dobbiamo sforzarci di svecchiare il sistema scolastico e proiettare le generazioni, attuali e future, al confronto con autori più contemporanei e a generi diversi rispetto a quelli più tradizionali.
Quando scrivi reciti te stesso?
Molto spesso alcuni personaggi mi rispecchiano o rispecchiano quello che farei/penserei/vivrei io in determinate sensazioni.
Di sicuro, che lo voglia o meno, c’è molto di me in quello che scrivo.
Ma questo credo sia capiti a chiunque si cimenti con la scrittura, a qualsiasi livello.
Un libro è lo specchio dei pensieri o dei sentimenti di uno scrittore?
Di entrambe le cose…o almeno è così nel mio caso…per gli altri non so…
Personalmente a me non riesce di slegare le due dimensioni.
Molto probabilmente sono più tendente alla sfera razionale dei “pensieri” (forse per via del mio ca-rattere e dei miei studi…) che alla sfera delle emozioni.
Però in ogni caso penso che, quando si scrive quello che si sta provando o pensando, si trasmette e si riversa nel testo gran parte di noi: l’entusiasmo, la passione, la gioia di vivere oppure la solitudi-ne, la sofferenza, il dolore…è difficile, secondo me, non “sporcare” il foglio delle proprie composi-zioni con il contenuto del nostro cuore e con i risultati della nostra esperienza umana.
Magari in prima analisi nemmeno ce ne si accorge ma, attraverso la lettura altrui o solamente rileg-gendo qualcosa di proprio a mesi o anche anni di distanza lo si può sicuramente notare.
Cosa rimane tra le pagine chiare della poesia e quelle scure del racconto?
Non saprei dire se siano più chiare le pagine delle poesie o quelle dei racconti… Dipende da quanto si vuole esporre l’autore in esse, da ciò che vuole esprimere o quanto vuole nascondersi tra le frasi che crea.
Di quello che scrivo ed esprimo qualcosa certamente rimane ai miei lettori…o almeno lo spero (sorride). Di certo credo mi riescano meglio le opere in prosa e addirittura mi è capitato di ricevere i ringraziamenti da parte di qualche lettore.
Per quanto mi riguarda invece, diciamo che mi “rimangono” molto di più i racconti che le poesie. Molto spesso dietro alla creazione di storie e personaggi ci sono ragionamenti e fantasticherie di molti giorni e soprattutto l’influenza di fatti più o meno reali che mi hanno saputo coinvolgere. Non che delle poesie non mi rimanga nulla, anzi! Solo che tendo a lasciarle scorrere con maggior facilità.
Se il fantasy fosse un colore, quale sarebbe e perchè?
Credo che sarebbe un “multicolore” in quanto racchiude, nonostante alcuni ancora non lo considerino un genere al pari di altri, una grande vastità di elementi e di personaggi e situazioni.
Il colore verde, ovviamente, è ben presente per lo stretto e costante legame che le storie fantasy hanno con il mondo naturale (molto probabilmente eredità del Romanticismo…)
Il rosso è il colore delle passioni, dei grandi ideali che animano i personaggi, ma anche del sangue che inevitabilmente scorre. E dell’amore, non dimentichiamolo, che molto spesso è presente come forza costruttrice o distruttrice nei vari racconti.
I colori nero e bianco sono costantemente presente a testimonianza della magia, che molto spesso è ben presente come forza primigenia e più o meno controllabile, e delle divinità appartenenti alla luce o alla tenebra. E al contempo, come ho avuto modo di leggere, il nero è anche un vero e proprio elemento caratterizzante di certa letteratura fantasy proprio per gli incubi e le forze demoniache che vengono “descritte” ed evocate.
Vi è poi una tale ed infinita varietà di sfumature data dalla presenza di razze e popoli diversi, ognuno con un loro credo e una propria ideologia, modi d’essere e di vivere che gioco forza sono portato ad associare il fantasy ad una serie di colori, senza riferirlo ad uno in particolare.
Anche perché a muovere tutto quanto vi è sempre l’intera gamma delle emozioni umane e gli sforzi (epici e non) compiuti in nome di una qualche missione decisa…. dagli autori!
Il fantasy, come si può facilmente intuire, è un genere che mi appassiona molto e a cui credo andrebbe concessa maggior attenzione e spazio (anche a scuola, pure con riferimento a miti e leggen-de nostrane).
Ultimamente questo un po’ sta avvenendo, grazie soprattutto alle grandi produzioni cinematografiche quali Il Signore degli Anelli o Harry Potter…ma molto c’è ancora da fare… Anche perché il fantasy tratta pure di miti e leggende a volte dimenticati, di valori epici sopiti e di incubi con cui da sempre l’umanità si confronta. E’ un genere vasto, a mio avviso, dalle molte sfaccettature e possibi-lità e che meriterebbe maggior attenzione.
C'è una domanda che hai sempre sognato ti fosse fatta? Se si falla, e rispondi.
Uhm, qua sono in difficoltà…è un po’ marzulliana come richiesta…purtroppo ora come ora non ho nulla per la testa e non vorrei far scendere il livello dell’intervista ai minimi…come? Li abbiamo già raggiunti…
Scherzi a parte, ora come ora non me ne vengono proprio in mente.
Tendenzialmente io mi faccio un mucchio di domande e mi pongo anche troppi problemi ma ora proprio non mi sovviene alcuna domanda in particolare.
Al limite potrei andare con la classica “perché e, soprattutto, per chi scrivi?”…ma purtroppo non saprei fornirmi una risposta a questo dilemma…non una definitiva almeno!
Lo scrittore è una persona sola dentro, sola fuori o sola mai?
E se invece fosse una persona sola sempre?
Non vorrei essere frainteso però.
Lo scrittore come persona è uno come gli altri, con le sue manie e le sue peculiarità, coi suoi momenti bui e i momenti di gioia, con le sue storie e i suoi problemi.
In linea di massima non è una persona sola perché può sempre contare su amici e familiari e cono-scenti e di certo può benissimo essere una persona che ama stare in compagnia e che non è sola mai.
Tuttavia…nel vivere la propria passione, nel fissare sul foglio (o molto più spesso a pc) quanto sente, pensa o “vede” si ritrova ad essere una persona sola, una persona che ha bisogno del deserto e del silenzio, dell’assenza degli altri.
Talvolta anche dell’assenza di se stesso.
E al contempo si ritrova ad essere una persona “incompresa” per quanto riguarda la sua passione e la necessità di scrivere o quanto meno di esprimersi. O almeno, anche secondo la mia esperienza, direttamente non conosco nessuno che condivida la mia stessa passione o che capisca quanto per me sia importante ritagliare qualche momento per me stesso nonché medesimo e dedicarmi ai miei so-gni ad occhi aperti e ai personaggi che immagino con la mia fantasia.
Secondo me, quindi, la solitudine è un qualcosa, una caratteristica (non dispregiativa, ovviamente!) che essenzialmente appartiene ad uno scrittore e con la quale esso/a si trova a convivere.
Alle volte può anche essere un “vantaggio” perché lo porta ad una maggior introspezione e capacità di concentrazione…altre volte no…dopotutto, a nessuno piace star solo, no?