Lettera a Fausta su Goliarda Sapienza
Lettera a Fausta su Goliarda Sapienza
Lettera a Fausta su Goliarda Sapienza

Carissima Fausta, ieri notte,
non riuscendo a prendere sonno, ho preso in mano il tuo libro su Goliarda Sapienza, e, attratta dalla ricchezza delle testimonianze e delle notizie, e dalla novità delle tue straordinarie intuizioni, non sono riuscita a metterlo da parte, così che, una volta finito, mi sono accorta che era l’alba. Goliarda Sapienza è ancora, in Italia, una scrittrice di nicchia: io stessa l’ho conosciuta da poco, perché mi è stata consigliata dall’amica e poeta palermitana Daita Martinez, che, nel parlarmi di lei in maniera entusiasta, si è dimostrata certa che ne sarei rimasta abbagliata, sapendo bene quanto mi piacciano le scritture irregolari. Un altro scrittore poco conosciuto è Stefano D’Arrigo, per esempio, anche lui, come Sapienza, inventore di un linguaggio tumultuoso, affatto comune, forse anche esagerato, ma di una liricità indiscutibile. Così come lirica è la narrazione debordante, fluvialmente impetuosa, talvolta anche caotica, di Goliarda Sapienza, che nel romanzo “L’arte della gioia” trasmette un’energia interiore, una forza ed indipendenza di pensiero eccezionali. Tu stessa ed i tuoi amici avete abbondantemente sottolineato queste qualità della scrittura e della personalità di una scrittrice come Goliarda Sapienza, così fuori del coro e, dunque, poco amata dagli editori, che rifiutavano di pubblicarne il romanzo per motivi non soltanto economici, ma direi anche per una “misoginia” di fondo, visto che l’autrice era una persona dal percorso biografico particolare e metteva in campo, nel suo romanzo, fatti, opinioni e scelte sessuali che senza dubbio dovettero apparire pericolosi ed amorali. Di fatto, per apprezzarla, bisogna accostarsi all’opera di Goliarda Sapienza con perfetta libertà mentale, la stessa che mi sembra appartenga abbondantemente alla tua intellettualità di lettrice e scrittrice. Soltanto allora, come scrive il prefatore Paolo Ruffilli, si dovrà ammettere di essere di fronte “a uno dei libri capitali della letteratura non solo italiana ma europea del Novecento”, e che, come ammette nella post-fazione Plinio Perilli, “davvero ti prende e ti scombussola”. Ma, secondo me, il pregio autentico di questo tuo lavoro sta nella bellissima intuizione secondo la quale i capelli costituiscono per Goliarda Sapienza una sorta di lente d’ingrandimento attraverso la quale leggere la personalità dei vari personaggi. Benché sia tornata più di una volta su certi passaggi particolarmente amati del romanzo, non ci avevo mai fatto caso; ma, rileggendo adesso, una dietro l’altra, le tante citazioni che fai per dimostrare la tua tesi, me ne sono convinta. Si può, insomma, affermare che i capelli costituiscano per Goliarda quella che Cristina Campo definì “l’eletta figura”, l’immagine chiave che torna e ritorna, la più rappresentata, quella che la scrittrice declina duttilmente e sapientemente. Un altro aspetto, direi curioso, del tuo libro è l’inserimento di numerose digressioni, come quella su Artemide, per esempio, e di brani di altri autori, come Baudelaire e Ida Magli, che sembrano svolgere la funzione di conferma ed ampliamento delle tue tesi. E così questo tuo libricino finisce con il somigliare al libro preso in esame, ricordandone la passione, il movimento complesso e spesso sorprendente. Magari tutto questo è accaduto perché hai aderito così tanto allo stile di Goliarda da imitarlo in qualche modo; ma anche questo processo d’identificazione è molto interessante e gradevole. D’altra parte ogni lettore si crea i suoi miti in base anche all’inclinazione caratteriale, ai propri rispecchiamenti. E, probabilmente tu in qualche modo ti sei specchiata in Goliarda Sapienza ritrovando in lei aspetti della personalità che già hai o che vorresti avere. Franca Alaimo 3 Agosto 2016
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