Un’opera: “Un re senza distrazione” di Jean Giono
Un tema: La Neve
di Fausta Genziana Le Piane
In questo suo saggio Fausta Genziana Le Piane si confronta con l’opera del letterato
francese, di origini italiane, Jean Giono. E lo fa da par suo, appassionata e competente
cultrice della letteratura francese con una visione molto vasta, partendo da episodi tratti da
spunti autobiografici. Infatti, nella sua introduzione, avverte la necessità d’informare il
lettore sulla genesi del libro.
È il due aprile del 1996, con la scolaresca in gita culturale, aspetta il treno per l’Italia presso
la stazione ferroviaria di Metz in Lorena. Tutto nasce da questo posto, e da un libro
regalatole da una sua collega, un libro di Giono “Que ma joie demeure”. Fausta viene
colpita dalla dedica del libro, “Peut-être y troverai-tu quelques étoile oubliées?” (Vi
troverai forse qualche stella dimenticata?).
Ecco, è da qui che s’apre il varco che la porterà alla realizzazione del libro, è l’inizio
dell’avventura di questo saggio dedicato a Giono.
È una premessa importante e necessaria perché ritengo sia propedeutica alla lettura del
libro e alla concentrazione sul tema della Neve. Essa è bella e pura, il suo candore dona
pace e una dolce malinconia. Ma non sempre è così, perché, traendo spunto dagli scritti di
Giono, c’è da confrontarsi con il colore bianco che si abbina al colore rosso, che insieme
formano il rosso del sangue sul candore della neve.
Così l’Autrice ci introduce con particolarissima cura nella personalità intricata e
affascinante di Jean Giono, autore complesso e inesauribile per una serie di cose che
rappresentano i suoi molteplici interessi, come il suo convinto pacifismo, per certi versi
anomalo, in quanto ampliato ad una sorta di rivolta contro la società del ventesimo secolo,
afflitta dalla mediocrità e dal totalitarismo.
E poi il suo panorama panteistico dell’universo, già manifestatosi ai tempi delle prime
letture omeriche, ove c’è assimilazione-unione tra la Natura e Dio, e per questo ogni cosa è
permeata da un Dio immanente e non trascendente, e sia Universo che Natura sono
equivalenti a Dio, ponendo, al centro, la presenza, seppur tragica dell’Umanità.
Da qui Fausta collega il paganesimo di Giono, dove gli dèi si manifestano nell’animo e nella
bellezza degli alberi, e in virtù di questo, l’umanità e gli alberi appartengono allo stesso
mondo.
Nel saggio vengono sapientemente messe a confronto moltissime citazione di opere di
Giono, dominate dal colore bianco (come, appunto, in “Un re senza divertimento”) e dal
colore rosso: il lupo che guarda il sangue del cane sulla neve e, ancora, la neve che purifica
l’immoralità del sangue del corpo macellato del maiale.
È perché in Giono “dove c’è il sangue, c’è la neve”.
A leggere la documentazione dello scrittore francese che Fausta mette a disposizione,
appare evidente come in Giono la neve e il sangue vivono una sorta di vincolante simbiosi
che non può essere in alcun modo mutata.
Giono visse a Manosque, una cittadina dell’alta Provenza, è un enfant du pays, come si usa
dire in quei luoghi, e la neve fu sua compagna di vita, che in lui diviene quasi un involucro
ove ambientare le sue storie, spesso tragiche, fatte di neve e di sangue.
È quindi questa strana contrapposizione che Fausta vuole mettere in evidenza, per rilevarci
l’elemento principale, quasi morboso, di cui Giono si serve per collocare le sue storie
metaforicamente terrificanti.
E qui mi ritorna alla mente il film-capolovoro Shining di Stanley Kubrick, interpretato da
uno strepitoso Jack Nicholson.
Un albergo sui monti, affollato frequentatore di turisti estivi, ora è immerso nella neve in
pieno inverno, è vuoto, abitato solo dalla follia del protagonista. In esso il sangue scorre
abbondante, ma nascosto, avvolto, come ovattato, nell’atavico segreto della neve.
Tutto d’intorno è neve, al centro il sangue.
Sono simili le immagini da brivido che si alternano in Giono: ed è questo concetto che
l’Autrice del saggio vuole trasmettere al lettore, impreziosendolo, nella seconda parte, di
titoli di romanzi, film e di una canzone d’autore, dove la neve è simbolicamente
protagonista.
Interessantissima è questa relazione, soprattutto nella scelta dei titoli, il cui leitmotiv,
prettamente gioniano, è sempre l’accostamento antitetico neve-sangue.
In letteratura, ad esempio Fausta ci propone, tra altri, La neve era sporca di Georges
Simenon e Le nevi del Kilimangiaro di Ernest Hemingway; e poi una poesia, di una
poetessa, da me particolarmente amata, Antonia Pozzi, Neve.
Tra i film troviamo citazioni come Io ti salverò di Alfred Hitchcock e il cupo Misery non
deve morire di Rob Reiner.
E poi, una canzone d’autore di uno dei più importanti cantautori italiani, Sergio Endrigo,
Aria di neve, dove la grigia aria di neve diviene espressione d’incomunicabilità tra un
uomo e una donna, causando un atteggiamento esistenziale che rende impossibile ogni
rapporto.
Un saggio pregevole, dunque, che si legge senza appesantire, anzi, al contrario,
agevolmente e con piacere, grazie ad una eccellente impostazione che Fausta ha saputo
dare al corso descrittivo della sua opera.
Antonio Ragone