Wilma Vedruccio, Voci per un Presepe
Natale è passato da qualche mese ma non è mai troppo tardi per parlare di Presepe. Un Presepe insolito quello presentato da Wilma Vedruccio nella sua ultima pubblicazione – Voci per un Presepe, Kurumuny, 2015 – in cui ci offre un esempio riuscito di scrittura multimediale. Infatti, il testo, oltre alle belle rievocazioni della Vedrucchio, include le illustrazioni di Marco Musarò e le musiche di Rocco Nigro (il libro ha un CD allegato).
Restituire al Presepe il suo vero senso: è di questo che parla nella prefazione Raffaele Gorgoni. Origini ormai dimenticate, sopraffatti come siamo dal consumismo dilagante: C’era una volta un’idea del mondo e il Natale era uno dei cardini sul quale quell’idea ruotava.
Le voci alle quali allude il titolo sono tante. Sono senz’altro le voci dei protagonisti che Wilma Vedruccio fa parlare uno ad uno: si presentano facendo ritornare il lettore agli inizi della storia del presepe stesso. Perché sono le statuine di protagonisti semplici che hanno la parola: il pastore, l’ortolano, la nutrice, il vagabondo, l’oste, lo Scriba, una giovane, il mercante, un ragazzo e il suo cane, il padre, una donna, uno dei Magi. E tutti sono accumunati dal tema del pellegrinaggio. Ma dove? Dove c’è una luce, un colore, una speranza.
Poi ci sono le voci dei cantanti (tra le quali quella della stessa Vedruccio in Miriam e Melchiorre): anch’esse in coro invocano il bambinello, lo coccolano.
Ma sono soprattutto le voci dei piccoli migranti ai quali è dedicato il testo. Il Presepe, che si richiama ad un evento storicamente avvenuto, con la sua rievocazione, ci fa riflettere sulla nascita di Gesù, sul Suo essersi incarnato per noi, sacrificato per la nostra salvezza, per esaltare l’uguaglianza e per capovolgere le ingiustizie sociali. Quale era e quale può ancora essere quella idea del mondo scomparsa perché il senso del Natale è sparito? Quello dell’accoglienza: la nascita di Gesù ha attirato i semplici e i dotti, i sapienti. Quello della lentezza, della sapienza, della modestia. Perché questo bambino che nasce ma poi sarà sacrificato sulla crocifisso diviene la metafora dei bimbi che scendono dai barconi dopo un viaggio in mare per finire a morire magari sulla spiaggia.
C’è un filo rosso che unisce parole, immagini e suoni ed è quello dell’attesa, del viaggio, dell’andare e della luce. Leggiamo le belle parole di Wilma: Sono venuto per vedere il perché della gran luce in cielo; il cielo si schiarito (Il pastore); vado insieme agli altri a veder cosa accade (L’ortolano); sono venuta…sono venuta (La nutrice) e ancora e ancora.
Si noti nelle belle immagini come, col naso all’insù, tutti i protagonisti tendono le mani alla luce-guida nell’atto sì di pregare ma anche di offrirsi, abbandonarsi al bambinello e alla speranza.
Infine, nelle belle canzoni accorate e fortemente ritmate – ballabili, quasi danze medievali a tratti - con accompagnamento di flauto contralto, violoncello, Harmonium e sonagliere, mandolino, fisarmonica – tipico strumento popolare - e tanti altri strumenti. Per esempio: l’invocazione, la preghiera non ascoltate avranno come conseguenza quella di non aspettare più Natale (Bumbinieddhu) oppure quando nacque il Bambino Mai le stelle luccicanti e belle / si videro così: e la più lucente / andò a chiamare i Magi a Oriente; bambino saporito (Quanno nascette Ninno); Sin dall’Oriente partiva la gente (Dormi dormi); Bambinello (…) sei tornato sulla terra (Angheli); Da ogni parte partirono i Re Magi (…) chi andava a piedi chi a cavallo / tutti cantando andavano in allegria; avanti faceva una gran luce (…) Anche la pecorella volle andare / per vedere come stava Gesù Cristo / il pastorello che la seguiva / suonando il fischietto andava (Strina). In tutte, l’incontro tra l’uomo e Dio e l’inno alla maternità.
Tutte le invocazioni e le preghiere fanno riferimento alla vita di tutti i giorni dei protagonisti, alle loro difficoltà quotidiane – perdite, umiliazioni - ed implicano un tipo di vita caratteristico delle piccole comunità contadine.
Fausta Genziana Le Piane