Su tre poesie della silloge Ostaggio della vallata di Fausta Genziana Le Piane
Nella seconda sezione (IL BISOGNO DI TE) di questa silloge dalla notevole apertura tematica, è inclusa la seguente poesia:
GIOCHI A PALLA
Giochi a palla col mio cuore
che rotola da una parola all’altra
soffre per i colpi che gli dai
cerca l’equilibrio
con altri giocatori.
Lo spingi dove vuoi
con la forza che sai,
lo insegui nella corsa
e poi lo lasci andare
finché persa l’energia
non si ferma
per lasciarsi morire
non poco incisivo risulta nei versi in oggetto quello incipitario, un ottonario che va subito al sodo, in medias res per eccellenza, animato com’è dal verbo iniziale (“Giochi”) da cui dipende sostanzialmente il forte dinamismo di tutta la poesia (una poesia nella quale i sussulti del cuore non vengono descritti, piuttosto avvengono dinanzi agli occhi del lettore). Un riscontro testuale di quanto appena osservato viene offerto dai verbi in uscita dal terzo e dal settimo verso di essa (“dai-sai”), in rima lontana e davvero corollari semantico-strutturali del suddetto impulso iniziale. Il tormento di chi ama sentendosi usata risulta pertanto al riparo dal melodramma in questa lirica struggente ma asciutta, che mi ha fatto ripensare ad un celebre passo stendhaliano (in DE L’AMOUR, Libro Primo, XXII; “Sull’esaltazione”): “Ma, un bel giorno, ci si stanca di fare tutte le spese, si scopre che l’oggetto adorato non rimanda la palla”.
In terza sezione (NELL’INCAVO CALDO) della silloge di Fausta Genziana Le Piane, altrettanto significativa è questa poesia:
RONDINE, RONDINE
Rondine, rondine
eroicamente accovacciata
su una pallina di grandine:
sfrecci,
colpendomi
come proiettile
al cuore stanco
la qualità di essa è data a parer mio dall’andamento in apparenza descrittivo e in realtà dominato da un ritmo serrato, già galoppante nel primo verso in forma d’apostrofe iterata, a segnalare al lettore un percorso amaramente introspettivo che si posa sul “cuore stanco” della poetessa (elegante quinario di chiusa in una poesia arricchita dalla falsa rima lontana (“rondine…grandine”); rima in cui peraltro la consonante nasale-dentale reiterata stringe per così dire al massimo le maglie di questi felicissimi versi (dei quali Plinio Perilli ha sottolineato la natura “cinetica”). La poetica incalzante e visionaria di Fausta Genziana Le Piane si manifesta in sostanza appieno nella lirica in oggetto: con la “palla” della poesia precedente qui divenuta “pallina” per il disinganno amoroso, si potrebbe osservare en passant. Prima di parlare della terza poesia inclusa nell’OSTAGGIO DELLA VALLATA, mi preme qui sottolineare la bellezza dei due versi iniziali di una lirica della raccolta dal titolo Non ho più corpo (all’interno della sezione RESUSCITA LAZZARO): “Non ho più corpo/ ma anima lucente”; felice riformulazione dell’immenso ungarettiano assimilato in profondità dalla poetessa e riproposto al lettore non enfaticamente (non a caso il curatore del libro Plinio Perilli osserva al riguardo: “il distico d’apertura meriterebbe quasi vita autonoma”). Ma veniamo alla suddetta terza poesia della silloge sulla quale si è fermata la mia attenzione (in quinta sezione, intitolata FERMASOGNI):
LA TUA VOCE
La tua voce
gioca a fare il funambolo
sul filo del telefono
perché qui “il filo del telefono” davvero si offre al lettore nella concretezza visiva di quello dell’acrobata, per il piccolo miracolo del secondo e terzo verso con uscita sdrucciola e quindi stilisticamente inarcati (le movenze dell’equilibrista per l’appunto, ossia l’oggetto amoroso che sfugge a chi ama non riamata, ripensando al già citato Stendhal). Sempre felicemente Perilli parla di “guizzo alessandrino” a proposito della terzina in oggetto; laddove a mio avviso la grazia dell’haiku evocata in merito ad alcune liriche dell’OSTAGGIO DELLA VALLATA non riguarda in conclusione più di tanto il senso di una poetica autonoma e incisiva nei suoi scatti ex abundantia cordis.
Andrea Mariotti