Clara Di Stefano, A mani nude: come sono e perché sono
Clara Di Stefano, A mani nude: come sono e perché sono
Clara Di Stefano, “A mani nude”: come sono e perché sono…

A mani nude è il titolo del libro di Clara Di Stefano, con prefazione di Liliana Biondi, pubblicato nel 1999 con le Edizioni Confronto: Ora non abbiamo che mani / per get-tare fiori al di là della siepe / e voci a cantare la nostra impotenza, sono le belle pa-role di David Maria Turoldo, messe all’inizio della raccolta che ben ne riassumono il senso. Libro di notevole fattura ed eleganza, arricchito dai disegni di Maria Pia Di Stefano e dalla copertina che riproduce un particolare di “Bestie da soma” di Teofilo Patini (1840-1906).
Con coerenza, questo fa Clara, si offre interamente, totalmente, con il proprio corpo, attraverso le sue poesie. Senza armi, né attrezzi, né guanti quindi con più forza, più coraggio, più rischi e maggior aderenza. Nell’usare solo le mani nude c’è il vantaggio che la conoscenza aumenta: il contatto tra la pelle delle mani e la pelle della persona o dell’oggetto toccato aumenta di sensibilità, non ci sono intermediari.
Sarà un caso che la lirica che apre la raccolta si intitola Atavico un canto? Per cantare occorre la voce e che voce è quella di Clara? Prima di tutto, è un canto di donna, un canto di sofferenza, talvolta di umiliazione, un segno ormai impresso nella storia di tutti i tempi. È una donna che, nonostante tutto, è capace di aspettare, di amare, poi c’è la donna-compagna, quella con cui attraversare il tempo (l’azzurra polvere del tempo, p. 15), quella con cui dividere i passi che portano al futuro, quella dell’andare insieme. C’è anche la donna che lavora, lavora duro, si piega e geme, miete il campo, va in miniera. Tutto il mondo contadino è rievocato: la bambina, figlia di emigranti, il padre dall’ispido bacio e dalla carezza callosa, la madre, chiara lampada, vista in-vecchiare / troppo presto, la vita ritmata dalla risalita delle greggi, dal campo da mie-tere. Clara è tutta intera nel bellissimo ritratto della madre che rimbocca la terra nell’orto alla piantina di lattuga o impasta il pane.
Analizziamo alcuni aspetti.
I PASSI - Alcune liriche di Clara rimandano alla metafora dei passi, quelli del cam-minare sul suolo, sul selciato, sulle foglie. Sono passi che lascano un segno, un’orma: l’orma / dei passi miei / segnando vai / nell’azzurra polvere del tempo (p.15). La me-tafora dei passi è associata all’idea del tempo: Con volo / di rondine radente / l’orma / dei passi miei / segnando vai / nell’azzurra polvere / del tempo (p. 15).
IL SALE – Dà sapore alla vita: frantumo / il sale / dell’ultima illusione (p. 44) e A mani nude / ho scavato / rocce di sale / per aprirmi un varco / nel tuo cuore (p. 45). Anche il fiume è di sale: Come fiume / d’acqua e sale / siamo giunti / a questa pietra / coperta di licheni / dove chiodai / i miei sogni / di bambina (p. 30), il sale è il  sim-bolo dell’amicizia, dell’ospitalità, perché è condiviso, della parola data perché il suo sapore è indistruttibile. Il sale  contemporaneamente conserva gli alimenti e distrugge per corrosione: il sale ha virtù purificatrici e protettrici. Dà, anche, senso di fatica, pena, dolore alla vita.
LA NATURA - Clara è intimamente legata alla natura che conosce bene e che sente senza veli, fisicamente, integralmente…diremmo a mani nude! Perché il canto della natura è il canto della donna, la voce della natura è la voce della donna. La natura è abitata da una miriade di uccelli canori e da tutta una serie di animali o di piante: il merlo, le rose azzurre, quelle bianche e quelle di macchia, i prugnoli, il melo, le libel-lule, le querce annose, le rondini, i mandorli. Tutti amici e partecipi. La natura è l’eterno canto, il bozzolo del tempo, è canto dell’infinito ove si inserisce Clara e il suo compagno, rispettivamente io / sabbia d’oro / nel grembo caldo della terra e tu / onda azzurra / eco danzante / dell’Eterno Canto (pp. 19-20). Ciò che mi ha fatto rab-brividire e mi ha riempito il cuore di dolcezza è che Clara si definisce in base alla na-tura, con la natura, è della sua stessa essenza: mi ci volle / umiltà di timo / e tenacia di ginestra / per crescere / in quel grembo avaro…(…) (p. 27). La natura è anche uma-nizzata: Il mattino / al mio paese / ha la fronte azzurra / del Sirente / a segnare l’orizzonte ha ciglia / di mandorlo / affacciato sulla ripa / e occhio chiaro / di ciliegio il mattino / al mio paese / è scroscio di fonte / e canto di donna / che pettina la vite / con fiocco / di ginestra in fiore l mattino / al mio paese / è aroma di ginepro / e fuga di campane / nella valle (p. 54).
Il mandorlo e la ginestra prevalgono: il mandorlo, la cui fioritura è molto primaverile, è il segno della rinascita della natura, di una attenta vigilanza ai primi segni della primavera. E anche simbolo della fragilità, poiché questi fiori che si aprono per primi, sono i più sensibili ai primi freddi. La ginestra è simbolo della funzione reale: si dice possa essere all’origine di fiordaliso araldico. I rami fioriti erano utilizzati nei funerali, con essi si coprivano il corpo dei defunti: Di ginestre / solare fioritura / già trasecola la ripa…(p. 63).
L’assiolo e l’allodola battono l’ala al vento: Batte / canto d’assiolo / sulla pagina del giorno / che chiude in orosangue / sul Sirente…(p. 72). Con il suo canto melanconico e ritmato, l'assiolo è la colonna sonora delle nostre notti primaverili ed estive: minu-scolo, ma della voce potente, lo si può sentire da molto lontano, mentre richiama la femmina durante il periodo del corteggiamento; canto d’allodola / in ascesa verticale / salpo / anima e sangue / per guglie d’acqua / e crinali di vento / verso approdi / di creazioni infinite / dove i melograni / gemmano / costellazioni / sulla fronte del cielo (p. 75). L’allodola rappresenta l’unione del terrestre e del celeste: infatti, si innalza molto rapidamente nel cielo e si lascia cadere bruscamente. Vola alto e fa il nido a terra con fili d’erba secca. Il suo slancio nella chiara luce del mattino evoca l’ardore di uno slancio giovanile, il fervore, la gioia manifesta della vita. Il suo canto, in oppo-sizione a quello dell’usignolo, è un canto di gioia:

Sempre più in alto, più in alto, ti vedo
guizzare dalla terra, una nube di fuoco,
e percorri con l'ali l'infinito azzurro,
ti levi nell'aria cantando,
e librandoti alta ancora canti.

A un’alloda, Schelley

A MANI NUDE – Sia…e senza inganno / né divagazioni / di forse e di chissà / su questa pietra / peso l’oro del frumento / cresciuto / all’ombra / del tuo cielo (p. 30). Anche l’amore è natura, è mani nude, semplice, senza fronzoli.
                                                                                            Fausta Genziana Le Piane
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