“Olga” di Chiara Zocchi
“Olga” di Chiara Zocchi
Olga, infatti, la bambina narratrice protagonista di questo agile romanzo-diario, non ha simili sorelle letterarie in Italia, sebbene la sua astuzia disarmante unita al desiderio candido e legittimo di conoscere le numerose sfaccettature di quel mondo oltre al “mondo concentrato” del suo palazzo in cui “ci sono i poveracci coi buchi nel muro come me e quelli coi tappeti anche sotto il letto come il commendatore che abita nella scala C…” sembrano richiamare alla memoria la Zazie protagonista del forse più celebre romanzo di Raymond Queneau (Zazie dans le mètro, 1959), dissacrante scrittore francese alla perenne ricerca di forme ortograficamente e linguisticamente rivoluzionarie.
Nella casa di Olga “c’è il silenzio di chi urla” che lei registra quotidianamente nel proprio diario catturando stralci di una vita familiare stramba e dissestata, dominata a sprazzi dall’assente figura del padre, un lui dagli “occhi pieni di buio” che diventano dolci solo quando lo stesso finisce dietro le sbarre, e da un fratello drogato, nervoso, destinato a morire di aiz, che “forse è una cosa nera, come le strisce intorno agli occhi di mio fratello”, annoterà Olga, figlia di quell’orribile silenzio, riportando sul foglio “gli occhi pieni di parole” che ha: scrive di Ugo, il postino, dalla pancia “morbidissima” senza la quale “non ci possiamo abbracciare” che “mi dice sempre ciao stellina e per questo mi sta proprio simpatico” e del tabaccaio dalla “voce alta” che la mamma “dice che è uno di quei signori che vanno a letto con una grossa bottiglia di vino per berne un po’ quando si svegliano”. Del resto, Olga non sarebbe che l’ennesima storia di una degradata realtà periferica dei nostri anni, se tutta la materia non ci fosse presentata attraverso gli occhi di un’innocente. Il candore della protagonista, infatti, oltre ad aprire prospettive inattese sull’esistenza degli altri personaggi (un colpo di scena svelerà che Alberto, triste amante della ragazza con l’anello col serpente conosciuta in una chiesa, altri non è che il padre della sua amichetta Maria; e la scoperta che “l’amico” della madre, “il signore coi baffi” che in un primo momento ad Olga era sembrato muto, quando lei “per metterlo a suo agio” gli aveva chiesto “se era il nuovo marito della mamma e se dormiva qui stanotte”, “preferisce stare con un’altra signora e che è meglio che stia con lei perché l’ha promesso a Dio”), rivela con fragilità anche le ferite (“Da quando avevano saputo di lui, i miei compagni si erano spostati col banco lontano dal mio.Dicevano che i figli dei delinquenti erano tutti delinquenti. Anch’io, quindi ero in prigione”), gli stupori (“Dopo cena alla TV c’è il telegiornale, che è una cosa bruttissima, perché quando c’è succedono le disgrazie…se non lo facessero più, non succederebbe più niente di brutto e i ladri e gli assassini andrebbero in qualche altro paese col telegiornale”) e lo spaesamento, che accompagnano l’uscita dall’infanzia (“Voglio vivere in un altro tempo, messo fra il passato e il futuro. Ho deciso di chiamarlo presempre”), da quel suo mondo che “sta sotto le scale”, dove si ritrova spesso a parlare con Franco, candido, angelico, amico, come certi personaggi dostoevskiani, che rimarrà forse l’unico sollievo, insieme alla madre, alla sua solitudine, per lo meno fino alla partenza, poiché “suo papà ha trovato lavoro in una fabbrica di penne bic in una città che, per arrivarci in macchina, ci metti nove ore, senza fermarti mai in autogrill” e che lei aspetterà “perché a volte gli uccelli tornano”.

E, un giorno, Franco, angelo-uccello, tornerà per davvero, magari per regalarle una scatoletta marrone, apparentemente vuota, ma con dentro, invece, solo un pensiero!

Garzanti Editore
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