E ancora ritorna...ancora qui a dire..
E ancora ritorna...ancora qui a dire..

E ancora ritorna…ancora qui a dire…

E ancora ritorna Lorenzo Spataro, ritorna così come ce lo anticipano i versi che aprono la sua silloge “Amuleti” (Ensemble,) del 2022. Torna attraverso un prepo-tente avvinghiarsi alla natura: nella lirica che apre la raccolta ben cinque animali ci accolgono! In realtà si tratta di sei uccelli (nibbio, tordo, gazza e poiana), ma lo spar-viero è ripetuto due volte, perché lo sparviero ritorna. Perché? Ricordiamo che, in funzione dei costumi dell’epoca, portare lo sparviero sul pugno fu segno un tempo di nobiltà e di distinzione. Più avanti, troviamo presente anche il falco. E poi ancora ci sono il falco, la ghiandaia, la pecora, la volpe, il tasso, il rondone, ecc.
La poesia di Lorenzo vola, vola alto e, evocando l’antico mondo contadino fat-to di  fuoco nella casa di campagna, di baule antico nel pagliaio, di vecchi cappotti appesi a un chiodo, scava, scava dentro di sé per trovare l’ala di qualcosa. Perché Lo-renzo non vuole allontanarsi dal suo piccolo mondo antico, dal richiamo che si fa ca-sa: per lui significa esistere, esistere davvero, solo allora potremmo dirci salvi. C’è certezza e anche nostalgia (ognuno è la propria nostalgia). È il richiamo del nido, della casa, della tana, del pane: se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome.

Ti ho dato un nome. Come fossi
un talismano da inventare. Mi fai
il bene del concime, del lievito
e del sale per il pane. Ti ho dato
un nome. Ora intreccio le vocali
e sono l’edera a nascondere il segreto
che ho lasciato come un seme.

Talismano-amuleto, ancora troveremo questo binomio.
Non c’è mai disperazione nei versi di Lorenzo, ma sempre invece speranza: c’è sem-pre l’eredità di un seme, il bene che perdura.
C’è una dolcezza inaudita, infinita nei versi di Lorenzo ed è quella degli angeli azzoppati, del germoglio, del seme, della sacralità sottile delle cose perché non tutto è dolore o ferita o male o freddo:
Una fibra di legno rovente tra i passi – la senti? - fa eco ai resti dei merli sotto terra, chiama e spalanca un nome, lo gira sciamanico leggero sul palmo, batte il tamburo, evoca uno spirito antico, il canto lacero delle balene – l’amuleto di pietra che pende dal collo stacca la pelle, scopre il magma perduto, la punta sottile che riga e spolpa le ossa dagli ultimi resti di carne e si macera il gelo (o la nebbia) con fuochi accesi dai ragazzi a notte sulla riva del fiume e il tonfo di qualcosa che cade dai rami del pioppo nero lucente sveglia un bambino scomparso che dorme nella tana viscerale dei tassi e il tuo occhio che pulsa caldo di febbre e il richiamo del bosco alla fuga o alla resa.
È Lorenzo il bambino che dorme nella tana viscerale della natura alla quale si ag-grappa,  con la quale il poeta fa un tutt’uno, fino ad arrivare a dire la ferita che mi bu-ca la corteccia. C’è un richiamo tra il sopra e il sotto e in questo rimando di suoni so-pra e suoni sotto, il tamburo batte, spalanca un nome, lo gira sciamanico leggero sul palmo, evoca uno spirito antico, il canto lacero delle balene, l’infanzia del mondo. Il nome spalancato è vita, è energia, è vitalità, la danza sciamanica ritma il percorso:
Nell’attesa di un chiarore
ci passiamo il talismano come un fuoco
da bruciare lento sulle dita, l’amuleto

di carta velina da mordere coi denti –
tu accendi un’altra fiamma nel calice
verde sulla tavola, leggi i tuoi tarocchi

e sui fiori illustrati segni al contrario i vaticini
mentre fuori un altro anno
rovescia i nostri nomi e l’alfabeto.

ecco la tavola, ciò che ci lega, ci unisce in quanto umanità perché per Lorenzo non c’è mai l’io ma il tu e il noi, nella comunanza del destino. Ci passiamo il talismano oppure l’amuleto mentre lo sciamano, ispirato e carismatico, mette in comunicazione con le potenze superiori, attorno al fuoco compie il suo rituale, il suo rituale di danza prorompente. I  rituali che tanto ama Lorenzo. L’amuleto possiede o racchiude una forza magica: realizza ciò che simboleggia, una relazione particolare tra colui che lo porta e le forze che rappresenta. In Egitto, le mummie erano ricoperte di amuleti d’oro, di bronzo, di pietra per salvaguardare l’immortalità del defunto. Servivano an-che a preservare la salute, la felicità e la vita terrestre.

Ricorda la visione. Il corpo che si spoglia dei suoi aghi come un pino. Il tuo corpo-fotosintesi, le tue mani sul mio corpo fanno tana per i ghiri della mente, le tue vene hanno linfa che si mescola al mio sangue. Il tuo corpo-fotosintesi, i tuoi piedi mi ra-dicano alla terra, tu mi bevi e poi ti posi sui miei rami come un merlo, sei corteccia per tutte le ferite, incisione, taglio al cuore. Il tuo cuore che è la martora in letargo, al riparo, accucciata come un bene a perdurare. Mi fai tana e poi mi scuoti. Ricorda la visione. Io cospargo di ambra la tua pelle sbucciata dall’inverno. Insieme diven-tiamo secolari. Ci pieghiamo insieme al vento come fosse un dio-bambino che ci cul-la.

E ci culla la poesia di Lorenzo che con questo brano ci lascia il suo testamento umano e poetico. Il giovane poeta ci ha insegnato a toccare un amuleto di quarzo, a pronun-ciare tre parole, tre parole soltanto e a sognare di un tempo, di un allora di bellezza e di luce.
Fausta Genziana Le Piane
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