L'ultima silloge di Paolo Carlucci La Terra domani
L'ultima silloge di Paolo Carlucci La Terra domani
“Resta la cicoria del vivere ogni giorno pieno (…)”

L’ultima silloge di Paolo Carlucci La Terra domani e la carne ferita di miti

La terra domani è il titolo dell’ultima silloge di Paolo Carlucci edita da Passigli nel 2019: al lettore spetta il compito di continuare e finire la frase con un verbo ed even-tualmente altri elementi…!
C’è continuità tra questa raccolta e la precedente: l’ovattato, etereo mondo del poeta si svolge nel mondo delle stelle, delle profumate nuvole (sede del dio nudo, p. 14), dei sogni, delle costellazioni ma si badi bene altro materiale abita queste poesie, materiale concreto, fisico che permette al mondo dei sogni di restare con i piedi ben piantati per terra per entrare nel mondo del passato, della storia nella bellissima sezione intitolata Viaggi fra Storia e Mito: la terracotta dei cavalieri; e ancora terra, argilla, sabbia (ripetuta più volte).
In questa sezione domina la figura dello scriba: è il dio scriba di colori (p. 17), il poe-ta stesso. Non per nulla il termine scriba indica coloro che, in culture ed epoche di-verse, si occupavano di scrivere, tenere la contabilità e altre attività legate al mondo della scrittura e dei libri. Il ruolo della scrittura è tramandare / l’eterno mistero della Luce che rinasce sempre (p. 11): la bellezza salverà il mondo.
Un tema fondamentale è così quello della luce: luce canora-luce di fanciulla-voce di luce-letargo di luce-cigno di luce-neri fiori di luce…quante interpretazioni per questa parola! Mistero, sonno, preghiera…è associata al mare, ad una bambina, ecc. Ecco il vento (un vento di fame bianca e feroce a p. 15, con il suo ferire, il suo coltello a p. 17. Si legga Alle radici della mia luce (p.43): la luce accecante è quella della Nor-mandia con il suo faro, la sua abbazia, Caen, i suoi castelli, le sue torri. Natura, trifo-gli, erica, falesa, farfalle, tutto ciò colpisce l’occhio del Poeta, è musica che accarezza i suoi orecchi. Lentamente passa la conoscenza attraverso le pietre d’arte e improvvi-samente, verso la fine della lirica, il tono passa dall’osservazione alla meditazione dell’interno, del proprio io e Carlucci - lo scrittore – si sente libero di risalire alla luce forte delle proprie radici. Luce, dicevo. Luce del mito e della storia che in questa sil-loge hanno grande parte, luce dell’arte e della bellezza: Pellegrini di bellezza andiamo adagio, nella calca, /  / nella luce dei musei, urne di quadri, oggetti, gioielli, (…) (p. 89). Bellezza anche di questa città, Roma: Sfoglio in questa radice spaccata di luce / il mio geranio rosa (…) (p. 97). È la luce che ci fa vivi (p. 95), luce è l’amore, la conoscenza, lo spirito. Luce che si oppone alle tenebre.
Poi ancora altri temi: la memoria, intesa come ricordo, sfida alla vanità del tempo, destino: Dove andate, cavalieri di terracotta? p.7); l’ineluttabilità ed eternità della morte; l’ombra (notte); la pace; il silenzio; il fiume; le pietre preziose: gemma, giada, lapislazzuli, ecco alcune metafore profonde, e soprattutto sabbia. Vasi, vasai: e qui torna la scrittura, la poesia di cui ho parlato poco prima: me ne vado vasaio di pa-role, scriba di gesta / antiche o nuove (…), p. 23. Poeta, artigiano, costruttore della parola.
La sabbia è sostanza dell’eternità, associata all’effimero del tempo. Ecco che una giornata fatta di tram, radio che gracchia, bar si trasforma in un grumo di cui capire il mistero, come nell’antico mondo egiziano… geroglifici / dell’alba e Iside lava le sca-le p. 9. Bellissima quest’ultima immagine in cui il quotidiano raggiunge e continua la Storia in una realtà che può essere anche divina e indecifrabile nella sua ripetitività. Scoprire che anche noi siamo fatti di sabbia. Il simbolismo della sabbia deriva ed è legato dall’idea di moltitudine dei suoi grani. Le età trascorse, insegna il Buddha, so-no più numerose ancora dei grani di sabbia contenuti tra la sorgente e la foce del Gange (Samyutta, Nikâya, Discorsi del Buddha). Facile da penetrare e plastica, sposa le forme che si modellano in lei: a questo proposito è simbolo di matrice. Il piacere che si prova a camminare sulla sabbia, a stendervisi, ad affondare nella sua massa morbida – che si manifesta sulle spiagge - si ricollega inconsciamente al regressus ad uterum degli psicanalisti. È effettivamente come una ricerca di riposo, di sicurezza, di rigenerazione. Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia ma noi dobbiamo edifi-care come se la sabbia fosse pietra, scrive Borges e si commuove per il destino dell’uomo sperduto nell’irrealtà dell’universo.
E poi c’è la terra, quella del titolo, una intera sezione è dedicata ai Viaggi nella Na-tura: apre Radici d’acqua la mia terra, la Tuscia, alludendo alle proprie origini, quo-tidianamente esplorata, rifacendosi ancora ai miti. Terra solida, gravida di eterni valo-ri, di perenni presenze: l’olivo, la vite, l’erba, il melograno. La terra per Carlucci è terra di mito e il mare è lastra di miti: si legga L’onda sirena in cui il Poeta rievoca l’andar per mare all’incontro con le creature divine, poi, lui naufrago, trasporta quel sogno nella salsedine della vita (p. 36). Navigare…naufragare…verbi che si con-frontano con la fatica di vivere.
Ha senso parlare oggi di mito? Sì se è ricerca del domani…anche tra i rifiuti…(p. 15), sì se  il mito si accompagna alla Storia, al recupero del nostro io e dell’umanità intera, al tornare al proprio cuore, ma nello stesso tempo è calato nella vita di tutti i giorni: Fatto argonauta moderno di miti (…), p. 27. Paolo Carlucci attinge a piene mani nei rossi scrigni di miti andando a caccia di Orfeo, Ade, Venere, Dioniso ecc. Perché confusi tra gli uomini sono gli Dèi, vasai delle nuvole / che al tornio girano alla terra il viso della pioggia: / oggi scroscia pungente sui palazzi dei Re (p. 17): c’è nella poesia di Carlucci un continuo passare dalla Storia al nostro oggi e dalla nostra con-temporaneità alla Storia.

Fausta Genziana Le Piane
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