Il premier Silvio Berlusconi, divorziato e risposato, ha partecipato all’eucaristia durante il funerale di Raimondo Vianello, dando il via a una discussione accesa, per la gravità del fatto di avere ricevuto l’ostia nonostante la chiesa lo vieti esplicitamente.
Il Papa Benedetto XVI, chiamato a pronunciarsi in merito a quanto accaduto ha ribadito che la Chiesa riconosce il diritto a ricevere l’ostia alle persone che non sono nel peccato, lasciando intendere che la posizione del premier è delle più delicate e spiegando i perché del “no” alla comunione eucaristica dei divorziati risposati.
Il premier dal canto suo ha colto l’occasione per farsi portavoce della parte di credenti che sono nella sua stessa situazione, ma che sono pronti a chiedere perdono e a riconciliarsi con Dio per poter nuovamente accedere al momento eucaristico.
La saga “Berlusconi – Ratzinger” ha avuto radice nel 1994, da sedici anni ormai Silvio Berlusconi ha aperto la sfida alla chiesa. Una delle lettere più dure mai rese note, durante il pontificato di papa Giovanni Paolo II, firmata dall’allora cardinale Ratzinger, ammoniva i divorziati risposati a non prendere parte alla comunione, rendendo i celebranti autorevoli nella loro posizione, nell’informare il fedele sulla non possibilità di prendervi parte.
Già a quel tempo Silvio Berlusconi prese le difese dei risposati, giudicando che a suo avviso fosse la coscienza individuale del singolo a rispondere dei propri peccati. Un nuovo scontro tra potere politico e potere temporale? La Chiesa ha dei principi secondo cui agisce e conduce il gregge di credenti.
Esiste una pastorale dedicata alle famiglie in difficoltà, ai separandi, ai divorziati, tuttavia anche la lettera del cardinal Tettamanzi del 2008 conferma l’interpretazione della chiesa: sottolinea l’impossibilità ad accedere alla comunione eucaristica. Questo, prosegue Tettamanzi, è un fatto che non deve essere letto come un giudizio negativo sulla persona, bensì come una regola della chiesa corrispondente a un momento esistenziale della persona.
Per la chiesa dunque i divorziati risposati sono ben accetti in “una vita di fede e di carità all’interno della comunità ecclesiale” e la loro unione ha il valore morale identico a quello di un primo matrimonio, tuttavia la situazione interiore del fedele che ha dovuto superare il trauma del divorzio è diversa da quella del fedele che non ha conosciuto questa esperienza.
In altre parole: secondo quanto si desume dalla pastorale, il cristiano divorziato e risposato non potrebbe accedere alla comunione eucaristica non tanto e non solo perché peccatore, come sono peccatori tutti i membri di una comunità cristiana, bensì non potrebbe accedervi in quanto bisognoso di un diverso conforto e di una maggiore serenità nell’essere accompagnato in un percorso di riavvicinamento della propria anima al Signore alla luce del grave trauma subito.